Home Colored Prendi i soldi e scappa

Prendi i soldi e scappa

0


Scheletri di famiglia Eataly

Libero ha costretto Farinetti alla resipiscenza. La questione riguarda il padre di Oscar, Paolo Farinetti, valoroso e decorato comandante partigiano. Nel 2013 Eataly diede alle stampe una piccola agiografia dal sottotitolo eloquente: «La leggenda del Comandante Paolo e della XXI Brigata Matteotti».Il tomo conquistò, ça va sans dire, il «Premio comandante Paolo Farinetti» voluto dalla di lui famiglia. Nella biografia si ricordava che «a guerra finita Paolo 

Farinetti cominciò anche una brillante carriera imprenditoriale», ma si tacevano le traversie giudiziarie, conseguenza di una rapina realizzata nel 1946 ai danni della Fiat da tre ex partigiani della Matteotti. Chiedemmo a Farinetti se ricordasse quel processo, in cui venne coinvolto il genitore, e lui ci rispose in questi termini: «Io no, non perda tempo con queste cagate. Questa è macchina del fango totale».

 Quindi ci richiamò per dare il suo contributo alla ricostruzione dei fatti storici: «Vorrei che scrivesse che successivamente mio padre è stato completamente assolto e riabilitato per non aver commesso il fatto». In realtà le cose andarono un po’ diversamente e Farinetti ha deciso di metterlo nero su bianco nel suo ultimo libro, dedicato proprio al comandante Paolo e intitolato «Mangia con il pane».

A costo di un certo travaglio interiore: «Ho l’impressione che lui, dovunque si trovi ora, non sia d’accordo. Perdonami papà». Nel capitolo sulla «Rapina del ’46», che fruttò oltre 2,5 milioni di lire, Farinetti ci informa che gli autori di quell’azione non erano «partigiani di retrovia», ma «erano stati dei valorosi combattenti, amici di mio padre».

Oscar, anche se «niente può giustificare un crimine», rintraccia motivazioni ideali e politiche per quell’azione. Quindi, con una certa franchezza e attraverso le parole della madre, racconta perché il padre sia stato condannato a 2 anni e sei mesi di carcere (pena condonata) e a una sanzione di 5mila lire per ricettazione: «Tuo padre, tempo prima, aveva imprestato duecentomila lire a uno dei tre componenti della banda. Aveva anche venduto a credito un camioncino a un altro di loro per circa trecentomila lire. Quando confessano a Paolo di aver compiuto il crimine, lui va su tutte le furie e li rimprovera pesantemente. Tuttavia non li denuncia e, cosa ancora più grave, accetta la restituzione di quanto gli dovevano».

 Il 15 luglio del 1947 il procuratore generale di Torino, Villa, «escluso il movente politico della rapina, versione dell’ultima ora» chiede per Farinetti una condanna a 6 anni e 9 mesi di prigione e 13.500 lire di multa, ma la sezione ordinaria della Corte d’assise, il giorno dopo, lo giudica «colpevole di ricettazione anziché di rapina» e ne ordina la scarcerazione. Ma perché lo puniscono, se non aveva partecipato in nessuno modo al colpo?

Oscar, sul punto, non la cita, ma Libero ha recuperato la sentenza originale: «Paolo Farinetti sapeva perfettamente che i denari a lui versati dai compagni (586mila lire in tutto: 386mila per il furgone usato nella rapina, 200mila per un vecchio credito “più o meno dimostrato verso la cooperativa partigiana” ndr) erano proprio il provento del delitto commesso (…) è evidente invero come egli abbia voluto approfittare della situazione per sbarazzarsi di un autoveicolo (…) favorendo un amico che in condizioni normali non sarebbe stato in grado di acquistarlo e per porsi in grado di soddisfare anch’egli il debito di lire 200mila che aveva verso il signor Cartagenova».

Il collegio non concede agli imputati nessuna giustificazione ideale: «Vi è una prova imponente e irrefutabile che il delitto è stato commesso per un comunissimo fine personale (…) il denaro frutto della rapina è rimasto in mano ai principali esecutori che lo hanno impiegato per fini esclusivamente personali, per acquisti vari, in pagamento di debiti personali (vedi Farinetti ndr) e anche nel gioco». 

 

Nessun commento

Exit mobile version