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Putin, l’americano

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Nessuno quanto lui ha giovato alla ripresa degli Stati Uniti nel 2022

Putin è il vero jolly americano di oggi; quanto per complicità e quanto per stupidità non si sa, ma in fondo non conta.
Viviamo in un mondo dalla globalizzazione segmentata, con diverse velocità di crescita e decrescita, in un multipolarismo asimmetrico caratterizzato dalla struttura profondamente capitalistica e mercantilistica che non risparmia nessuno.
Compito delle avanguardie sarebbe quello di tracciare modelli di sviluppo alternativi, ma, con pochissime eccezioni, tra le quali ci metto le snelle strutture metapolitiche che ho formato e quelle con cui collaboro, sembra che questo non interessi più a nessuno ma si pretenda di ragionare in temini di antagonismi apocalittici per la conquista del mondo. Il mondo di questi desii se ne frega.

La contesa tra i players
La grande partita per le quote di potere economico, politico, commerciale e militare non si basa sulle battaglie ma sui termini e sugli spazi della ristrutturazione.
Se leggiamo le riflessioni dei think tanks delle potenze mondiali, scopriamo che la contesa tra i players riguarda Usa, Ue e Cina, come colossi, cui si aggiungono il Giappone, la Corea del Sud  e i Paesi dell’Asean. L’India resta incompiuta. L’Inghilterra cerca il suo ruolo come crocevia tra Ue, Usa e Commowealth, che è poi un po’ quello che la Ue cerca di fare tra Cina, Usa e Asean.
Nessuno cita mai la Russia la quale è desueta nel mentale e così ritardata dal punto di vista dell’iniziativa, da essere un player muscolare ma un sottoplayer economico e politico.
Ed è per questo che soffre di manie di persecuzione, che si rode il fegato per l’impossibilità di tornare superpotenza e che, prigioniera di se stessa e del suo raccontarsi, per Andrey Kortunov, il più brillante intellettuale russo del partito Parigi-Berlino-Mosca, si è consegnata ad un feroce e sciocco revival neosovietico. O neozarista per certuni, il che è esattamente la stessa cosa.

Tre fattori decisivi
L’attuale fase mondiale è stata determinata da diversi fattori successivi, in gran parte collegati tra loro. La pandemia ha provocato l’interruzione di molte catene di approvvigionamento e uno squilibrio tra domanda e offerta che ha avuto effetti inflattivi. La risposta del denaro facile, che ha voltato le spalle alle politiche di austerità, ha però fatto esplodere il debito pubblico che oggi dev’essere contenuto.
Fino al 2022 le risposte delle grandi potenze economiche furono simili ma diverse.
La Ue diede la più vincente, portandosi a una crescita del 3,4% nel 2022 e preoccupando i concorrenti americani. Peraltro la congiuntura le diede la consapevolezza della necessità di acquisire un’autonomia strategica e di rilocalizzare l’industria, in casa o presso partner vassalli.
Un terzo elemento intervenne allora a scompaginare tutto: la guerra mossa dai russi e l’aumento dei costi delle fonti energetiche, con l’irruzione sui mercati del gas scisto americano.

Gli Usa incassano
È in questo quadro che le banche centrali intervengono ad alzare i tassi per provare a evitare la recessione. Un’Europa unita su alcune linee di fondo ma costantemente divisa su tutto, rischia di perdere il vantaggio acquisito durante la pandemia, perché si dovrà ora decidere se ridurre i trasferimenti e i consumi pubblici o gli investimenti, e su questo è difficile che si trovi la dovuta concordanza d’intenti. L’effetto della guerra potrebbe farci retrocedere nuovamente.
La tendenza alla rilocalizzazione industriale e a scegliersi dei partner-vassalli per le catene internazionali, la crescita di altre economie del Pacifico e la politica intrapresa dagli americani, per la prima volta mettono anche in dubbio il futuro dominio cinese. Pechino potrebbe non essere più la fonte assoluta della domanda globale (con le imprese europee prime ad essere colpite) e il ruolo cinese nell’economia globale potrebbe presentarsi diverso da come ce lo siamo raffigurati fino ad ora.
Le scelte americane, sul controllo sulle esportazioni dei semiconduttori e sulle restrizioni commerciali sulle tecnologie chiave a causa dei rischi informatici, possono rivelarsi decisive.
Di sicuro oggi gli Usa sono quelli che stano facendo di più, colmando il gap con Europa e Cina che il parolaio Trump aveva determinato.

Con l’aiuto russo
Comunque la si giri, si torna sempre lì: l’invasione russa dell’Ucraìna ha permesso agli Usa di andare al’incasso economico e geopolitico come nessun altro. Nessuna spiegazione razionale, al di fuori di quella di Kortunov, ci dice perché il Cremlino abbia commesso una simile follia, che può giustificare con la sua macchina propagandistica ma che non aveva nessuna motivazione concreta, essendo avvenuta peraltro in avanzatissima descalation nel Donbass.
Abbiamo riportato da subito le affermazioni delle intelligences indiana e cinese, nonché di qualche analista italiano, che due mesi prima del folle attacco sostenevano che questo ci sarebbe stato in quanto concordato tra Biden e Putin. Il che sarà poi ripetuto da Ahmadinejad.
Non ha molta importanza se crederci o no, anche se, nel caso si sia trattato di un accordo mafioso, Putin avrebbe un’attenuante dal punto di vista mentale. A contare sono però i dati oggettivi.
Oggettivamente la Russia non sta recuperando terreno nelle partite che contano, semmai rtrocede, in compenso si è posta come gendarme anti-europeo in Ucraìna, nel Sahel e in Libia. Quindi sta facendo il gioco americano. Un gioco americano che, indebolendo l’economia e il peso politico degli europei, sta rendendo più facile anche la sua partita anti-cinese. Thank you mr. Vladimir!

Quella contraddizione per noi che non ragioniamo come loro
È pur vero che nella tragica commedia nella quale vengono sacrificati il popolo ucraìno e mandati al macello gli effettivi dello scadente esercito russo, si ha qualche difficoltà a concepire come il Cremlino sia disposto a far massacrare i suoi uomini. Questo ragionamento non tiene conto di tre punti cardine. In primis il cinismo della gang al potere in Russia, che ammassa ricchezze sulle spalle dei propri servi della gleba e le piazza nel “satanico” Occidente. In questo, ha poco da imparare dagli americani.
In secundis il fatto che mentre i soldati russi muoiono in massa, da undici mesi in qua si stanno regolando i conti all’interno delle oligarchie moscovite, con decine di morti; e la guerra per questo è un paravento ottimale. In tertiis, ma non meno importante, non esistono alleanze assolute a certi livelli ma rivalità/complicità che si riversano nella “unità e scissione” dell’imperialismo.
Ovvero si possono tranquillamente odiare e fare male reciprocamente mentre perseguono un obiettivo comune. Non sarebbe una primizia ma una regolarità storica.

Putin cow-boy
Ho sentito più volte liquidare la difesa del popolo ucraìno e la scelta eroica dei nazionalrivoluzionari come inaccettabili perché “oggettivamente” in favore degli americani.
Questo ragionamento non tiene conto del fatto che il popolo e i nazionalrivoluzionari stanno lottando per la vita e per la libertà e soprattutto che questo è stato determinato dall’invasione russa. Sono oggettivamente i russi il soggetto attivo di questa guerra americana.
Intanto c’è una convergenza impressionante da parte delle intelligences e degli analisti nell’imputare all’invasione russa tutti i vantaggi strategici ed economici che gli Usa hanno maturato dallo scorso marzo e il loro nuovo vantaggio sui competitors, fermati al palo.
Se ragioniamo appunto “oggettivamente”, vale a dire a prescindere da eventuali accordi sotto banco tra le due mafie, comunque oggi il cavallo di razza di Washington, ben più di Zelenski che è in situazione di reattività passiva, è proprio Putin.
Se ripercorriamo la storia dall’implosione dell’Urss ad oggi, il solo personaggio che ha giovato alla causa americana quanto Putin è stato Osama Bin Laden. Il quale però, in quel momento e in quella forma, era fantomatico, era un ologramma, un prodotto di laboratorio.
Putin è in carne ed ossa e sta facendo per la causa americana molto più di John Wayne. Il quale, in compenso, era simpatico.

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