Negli Usa, dominio incontrastato del femminismo e della nevrosi esistenziale, la moda sceglie la jungla. Prova a ridestare così sapori e valori selvaggi che illudano, fornendo di un primitivismo fatto solo di abbrutimento un’immagine vagamente eccitante.
NEW YORK – Donne leopardo e donne pantera, donne tigri e donne serpenti. Donne sensuali, selvagge, ferine, da conquistare e da dominare, ma anche donne Amazzoni, coraggiose femministe ante-litteram e cacciatrici, e donne fasciate di pelle nera, dominatrici da incubo sado-maso. Sono i molti volti di ‘Wild: Fashion Untamed’, la nuova mostra del Costume Institute del Metropolitan Museum di New York che aprira’ i battenti martedi’ prossimo, auspice e sponsor lo stilista italiano Roberto Cavalli.
”Abbiamo voluto esplorare i modi in cui la moda usa il mondo animale per costruire diverse idee della femminilita”, ha detto Andrew Bolton, il curatore della mostra. Dalla preistoria piume e pellicce sono state usate non solo per scopi utilitari (proteggere dal freddo innanzitutto) ma anche per esibizionismo e adornamento, dimostrazione di potere sessuale ed economico.
Lo show del museo americano mette a confronto le creazioni estreme della moda di Alexander McQueen con le fantastiche costruzioni piumate delle showgirls di Las Vegas.
Secondo Bolton ”i pezzi scelti per la mostra sono le manifestazioni piu’ estreme dell’animalismo espresso attraverso i vestiti. Gli stilisti maschi (???) come Galliano, Gaultier, Thierry Mugler, McQueen sono noti per le loro raffigurazioni di donne forti, ed ecco una delle ragioni per cui sono attratti dal simbolismo animale”. Quanto alla scarsa affezione per l’ispirazione animale delle donne stilista, la storica della moda Anne Hollander offre la classica spiegazione psicologica della preda di fronte al predatore: ”Molte donne non vogliono sembrare animali selvaggi perche’ gli animali selvaggi devono sempre essere domati”.
L’idea della mostra era allo studio del Metropolitan da anni, ma solo l’anno scorso e’ entrata nella fase esecutiva quando si e’ trasformata da un esame tecnico delle straordinarie capacita’ degli atelier di alta moda a uno studio piu’ ”sociopolitico”. Nel frattempo le passerelle hanno remato in favore del museo con gli stilisti sempre piu’ interessati a usare pelli e pellicce nelle loro collezioni dopo una fase in cui i movimenti animalisti come la Peta ne avevano imposto a colpi di manifestazioni il boicottaggio.
Negli Usa, dominio incontrastato del femminismo e della nevrosi esistenziale, la moda sceglie la jungla. Prova a ridestare così sapori e valori selvaggi che illudano fornendo di un primitivismo fatto solo di abbrutimento un’immagine vagamente eccitante.