sabato 11 Ottobre 2025

Quarantacinque anni d’ignobile mistificazione

Nessuna considerazione per la verità!

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Stazione di Bologna, 2 agosto 1980.

Ormai, se non fosse tragica, la “verità” su Bologna sarebbe ridicola.
Siamo a cinque condannati (uno dei quali spacciato per fascista ma di tutt’altra matrice e percorso). In termini giuridici non ci sarebbero nemmeno gli elementi per giustificare un rinvio a giudizio per gli altri quattro, figurarsi una sentenza di colpevolezza, né esistono elementi per condananre quest’ultimo, Paolo Bellini.

Le sentenze hanno travolto ogni garanzia. Gilberto Cavallini processato per due volte alla faccia del “ne bis in idem”, Luigi Ciavardini condannato come “mandante” (a 17 anni) dei suoi capi di allora perché la Cassazione aveva escluso che fosse stato lui l’esecutore, veste in cui era stato misteriosamente condannato in precedenza. La Mambro che per non farsi notare si sarebbe vestita da tirolese. Fioravanti che avrebbe fatto capire con una battuta al collaboratore di giustizia Sparti che c’entrava qualcosa. Lo Sparti, per questa “confessione” beneficiò di una liberazione miracolosa benché sia sua moglie che suo figlio, che dovevano essere presenti all’incontro con Fioravanti così come da lui stesso raccontato, abbiano provato che esso non ebbe luogo in quanto la famiglia per intero si trovava altrove. Senza contare che la frase incriminata – e palesemente inventata – “hai visto che botto?” non si sa per quale motivo dovrebbe corrispondere ad una confessione visto che si tratta di una pura constatazione che potrebbe essere stata fatta da chiunque avesse ascoltato il telegiornale.

Lo stesso Bellini – che è figura viscida, insana, un malfattore, collaboratore dei servizi, invischiato in una serie di delitti impuniti – ha subito una condanna (che alla fine non sconterà) su basi assurde.
Lo si è riconosciuto presente alla stazione di Bologna quel giorno, e ciò da una fotografia nella quale la ex moglie, che non è in rapporti propriamente amichevoli con lui, lo avrebbe riconosciuto da una collanina.
La condanna emessa nei suoi confronti stabilisce che Bellini avrebbe parcheggiato l’auto con la nipotina dentro ad attenderlo, sarebbe andato a commettere la strage, sarebbe quindi tornato a prendere la bambina e, in seguito, si sarebbe nuovamente recato sul luogo della strage, così, per farsi notare…
Essere sul luogo, peraltro, non significa automaticamente essere invischiato nell’attentato, tant’è che tra i candidati alla paternità di quella foto c’è pure un agente che partecipò per tutta la giornata ai soccorsi.
Ma c’è anche un militante dell’Orchestra Rossa, riconosciuto qualche tempo fa da un testimone oculare. Al suo posto però venne subito inserito il Bellini con una mossa di prestidigitazione.
E anche qui, con quali garanzie giuridiche! L’esame antropometrico che avrebbe dimostrato senza ombra di dubbio se Bellini era o non era l’uomo sulla foto, è stato semplicemente negato!
Perché? Andreotti avrebbe saputo rispondere perfettamente.

Invece alla stazione di Bologna c’erano senza ombra di dubbio almeno quattro esponenti del terrorismo rosso, identificati, e probabilmente altri due o tre.
Non ha importanza, il Tribunale non gliene da.
E si è nascosto un cadavere nella tomba di un altro.
Ed è scomparsa una testa.
E c’erano sul posto degli esponenti dei servizi italiani, francesi e israeliani.
E i depistaggi – contro i fascisti e non a loro favore – da parte dei servizi segreti erano iniziati addirittura alcuni giorni prima della strage, che ovviamente era attesa…
E l’Italia era invischiata nell’armamento nucleare dell’Iraq insieme alla Francia e subiva, insieme ad essa, le ritorsioni israeliane.
E secondo un’informativa dei servizi italiani, i portatori di esplosivo (che era destinato altrove, probabilmente in Puglia) sarebbero stati fatti saltare in aria mentre s’incontravano, probabilmente per fornire l’esplosivo a coloro che avrebbero concluso l’azione.
E le strutture operative che si trovavano a Bologna quel giorno, erano legate alla Stasi e al Superclan delle Brigate Rosse (un vertice esterno di cui facevano parte alcuni vertici interni) che muoveva i fili da Parigi, dove l’ambasciata israeliana agitava gli estremisti palestinesi anti-Arafat.
Da cui anche la “pista palestinese” nella quale di palestinese ce n’era uno solo, legato peraltro ai servizi segreti italiani, e la metà degli altri indiziati sono di famiglia israelita.
Infine: il primo depistaggio antifascista corposo venne deciso proprio a Parigi e vide coinvolti i servizi italiani, francesi e americani.

Ma oggi le istituzioni e tutto il baraccone commemorano la strage “fascista” – determinata da un mostro giuridico che avrebbe fatto impallidire Stalin – e continuano a parlare di omertà sui mandanti. Da quarantacinque anni, senza riflettere o vergognarsi.
Non fosse tragico, sarebbe altamente ridicolo.

Quasi tutti gli elementi di questa ricostruzione erano già presenti in Orchestra Rossa, edito per Avatar, nel 2020. Solo il processo e la condanna di Bellini vi sono assenti perché avvenuti in seguito.

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