Home Conflitti Quegli uomini non erano terroristi ma combattenti della resistenza

Quegli uomini non erano terroristi ma combattenti della resistenza

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Tokio – Avevano voluto a tutti i costi e insistito, il mondo politico e i mass media giapponesi, tv in testa, che i tre ostaggi caduti nelle mani di iracheni armati l’8 aprile scorso nei pressi di Falluja e poi liberati il 15 aprile dopo minacce di morte trasmesse dalla tv satellitare qatariota Al Jazeera, comparissero in pubblico a spiegare il perché del loro viaggio “avventato e sconsiderato” in Irak.

Lo hanno fatto ieri a Tokio, 12 giorni dopo il rientro in patria, con fierezza, semplicità e con convinzione. Peccato che le tv abbiano abdicato al loro compito, censurando la diretta, ricorrendo a tagli e facendo intervenire altri giornalisti a spiegare le parole, alcune scomode, degli ex ostaggi.


“So che s’è fatto un gran parlare in Giappone della nostra responsabilità individuale. Sono un giornalista, il mio dovere è quello di andare sul posto, anche se è rischioso, per raccontare a tutti quello che ho visto e constatato di persona. Perciò le critiche che ci sono piovute addosso non ci toccano. Chi ci ha rapito non erano terroristi, ma combattenti della resistenza. Alcuni hanno visto cadere uccisi loro figli”, ha detto Soichiro Coriyama, fotografo e giornalista free-lance di 32 anni.


“Sono andato in Irak di mia libera iniziativa, per studiare l’effetto delle armi a uranio impoverito e per raccontare a tutti cos’è la guerra in quel paese. E continuerò a farlo, appena mi sarà possibile. Responsabilità individuale? Sì, certo, ma quella di andare a dire che cosa accade in Irak”, gli ha fatto eco Noriyaki Imai, 18 anni, giovanissimo pacifista appena uscito dal liceo ma con una maturità e lucidità sorprendente nell’illustrare in modo succinto ma efficace e chiaro la dinamica dei loro otto giorni nelle mani di combattenti iracheni. “Ci sono stati momenti di grande tensione e paura. Siamo stati minacciati, urla, armi puntate contro e coltelli alla gola, accuse di essere spie. Ma dopo i primi giorni, i rapitori ci hanno trattato bene e raccontato che i loro compagni continuavano ad essere uccisi a Falluja”, ha aggiunto Imai.


All’incontro, tanto atteso, con la stampa, non ha partecipato Nahoto Takato, 34 anni, volontaria di u un’ organizzazione umanitaria che aiuta da un anno i bimbi orfani di guerra a Bagdad e invia viveri e medicinali. “Non si è ancora ripresa dalla choc, on riesce a dormire” hanno fatto sapere i familiari. Tutte le tv, pubblica e private, non hanno trasmesso in diretta la conferenza stampa dei due ex ostaggi, che è durata meno di mezz’ora, nonostante che un’ora prima dell’inizio le tv private avessero cominciato a fare collegamenti in diretta con il luogo della conferenza interrompendo i normali programmi e chiedendo all’inviato sul posto di descrivere nei minimi particolari che cosa stava succedendo. “Abbiamo mille domande da fare e tutti i giapponesi devono sapere dalla loro viva voce che cos’è accaduto e perché sono andati in Irak, malgrado i ripetuti moniti del governo a non farlo. Ci aspettiamo parole di scuse” avevano detto gli annunciatori di tutte le reti private.


Ne sono uscite trasmissioni a singhiozzo, in differita, con ripetizione a non finire di interventi dallo studio a spiegare che cosa avrebbero potuto o dovuto dire i due ex ostaggi, soprattutto sul tasto, definito “cruciale”, della loro responsabilità individuale per quanto era accaduto. Salvo poi a rassegnarsi alla fine a trasmettere il terso commento del fotografo free-lance Koriyama. “È un discorso che non ci tocca”. E ad ammettere che dai due ex ostaggi non erano arrivate parole di scusa.


Come nessuna parola di scuse e affermazioni analoghe sul tema della “responsabilità individuale”

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