giovedì 18 Luglio 2024

Se l’Afghanistan lanciasse l’Europa

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Una falla che potremmo colmare

E se fosse la vecchia e cara Europa a scoprire, ancora una volta, il nuovo mondo? Quanto accaduto nella ultime settimane in Afghanistan riporta prepotentemente d’attualità il dibattito sul ruolo dell’Europa nello scacchiere mondiale. Il fallimento della strategia americana, improntata più a vendicare l’11 settembre che ad aiutare davvero il popolo afgano, è sotto gli occhi del mondo intero. Gli Usa lo hanno ignobilmente abbandonato a sé stesso. E sarà l’Europa a dover subire le conseguenze di questo abominio: gli Stati Uniti decidono, il vecchio continente vedrà arrivare migliaia e migliaia di profughi. E, come è giusto, li dovrà accogliere. Non senza difficoltà.
È questo, però, il “se non ora quando” dell’Europa. Il momento giusto per portare a compimento la propria incompiuta. Quella, cioè, di diventare davvero patria comune. Di diventare, ancora una volta, motore di civiltà. Lo spera anche un “inglese europeo” come Timothy Garton Ash: “E se fosse l’Europa a prendere le redini?”.
Possibile? Sì, ma serve coraggio. E azzardo. Non le è riuscito in oltre 30 anni, dalla caduta del muro di Berlino in poi, perché le élite europee non hanno saputo rispondere fino in fondo alla chiamata dei tempi. Nel momento in cui le terre non erano più sporche di sangue, la politica avrebbe dovuto prendere il sopravvento, scommettendo su un destino inciso nei secoli, lungo le strade di un continente che poteva e doveva ancora scrivere la sua storia.
Ecco, la crisi afgana e la ritirata Usa ora danno mai come prima all’Europa l’occasione di colmare l’ultimo tratto di strada che c’è da compiere per pensare a una sovranità europea, a un “impero” europeo, a una politica europea, ad un esercito europeo. Per scrivere la propria storia, una storia che vada oltre l’Unione europea solo come mera comunità economica e che sappia creare quell’identità europea in grado di ridare al vecchio continente il ruolo di guida culturale e valoriale che ha avuto nei secoli passati. Un ruolo di primo piano nel ristabilire l’equilibrio sullo scacchiere internazionale.
È questa, come ha detto anche Sergio Mattarella, la missione di una comunità consapevole del proprio ruolo e della validità storica del progetto di integrazione europea. Ha ragione il presidente della Repubblica quando ricorda che è questo il destino migliore per noi e i nostri giovani. Dobbiamo aprire la strada al futuro, non illuderci di poterci riparare in improbabili trincee.
Come? Con la politica, soprattutto. Con la buona politica. Le fondamenta economiche non bastano. Servono unità culturale e l’eroismo di chi crede ancora che sì, possa essere ancora l’Europa ad esportare, con l’esempio, gli ideali di libertà e tolleranza, a testa alta, senza accettare lezioni da nessuno.
Una Europa fiera della sua storia, certa della sua identità, può così diventare, finalmente, una comunità politica in cammino. Una comunità, bisogna ricominciare a dirlo e dircelo, orgogliosa di una superiorità valoriale capace di esportare cultura e civiltà e di rappresentare in maniera unitaria le proprie posizioni al restante mondo.
È compito della politica ristabilire questa rotta: quel che serve è un processo di riappropriazione di una leadership politica e militare senza il quale il vecchio continente sarà destinato, inesorabilmente, a essere sempre più colonia di nuovi imperi emergenti.

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