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Se Napolitano decora un fascista

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Giovannino venne fucilato in camicia nera

La prima decade di febbraio è dei morti in foiba. Per la mia famiglia è così dal ’44, per mia bisnonna che non avendo più notizie da Giovannino, il figlio tenente del battaglione Mussolini impegnato in Venezia-Giulia, interpellò padre Pio.
Il frate le scrisse, inaspettatamente, un biglietto. Pregasse per il suo ragazzo, diceva, perché é nella grazia del Signore.
Del genocidio si seppe dopo ma di Giovannino, disperso, più nulla. Sino a quando il Fato portò il sottoscritto a Gorizia. Dalla Sardegna a Gorizia, casualmente.
Là, fra le lapidi del cimitero, casualmente mi imbattei nel monumento al Battaglione, col nome di mio zio inciso nel bronzo.
Nessuno ci aveva avvertiti, di questo tempio alle pendici del Carso.
Fu l’ultima è forse l’unica volta che vidi mia nonna piangere. Per suo fratello, un ragazzo che lei, bambina, aveva ammirato nel suo ardore giovanile. Ardore fascista, com’era Giovannino e com’è ricordato da chi lo conobbe allora.
Di lui ci restano le lettere alla famiglia da Roma nell’ottobre del 43, quando serenamente scriveva alla madre in procinto di partire per Verona, per continuare la guerra accanto all’alleato germanico.
Dopo nulla. Solo notizie di terza mano che lo davano fucilato dai banditi.
Giovannino non cadde perché italiano, cadde perché fascista. Sospetto una fortissima incazzatura, se avesse potuto ascoltare i piagnistei della settimana delle foibe. La commemorazione coi distinguo: perché mica uccisero solo i fascisti, uccisero anche innocenti!
Eccovi la conquista della destra italiana al governo. Ricordiamo il 10 febbraio, facciamone una ricorrenza antifascista e nessuno si offenda.
Per fortuna ci sono quattro straccioni con le bandiere rosse, che alla piazza Fiume di Cremona – ero là – vengono a scoreggiare cori idioti! Ci legittimano loro, paradossalmente, restituendo alle foibe la dignità che si meritano. Gli infoibati erano italiani e gli italiani erano col Duce. Come Giovannino, come tutti.
Tra l’oblio del passato e questa festa edulcorata, non ho preferenze. Sono entrambi poca cosa. Col 10 febbraio non mi identifico, fatico ad identificarmi con gli italiani, talmente defascistizzati da esser diventati un’accozzaglia di ladri, genitori A e B ma soprattutto C. Cialtroni e coglioni.
Che invece di sputare su Venditti – che l’11 febbraio a Trieste ha detto “lasciate stare le foibe, sarete stanchi di sentirne parlare” – pagano il biglietto al suo concerto.
Ma il Fato, si sa, gioca scherzi. E l’ha giocato al Napolitano. Credo non sappia, l’amico degli infoibatori, neo-golpista sclerotico, che la medaglia al valore militare recentemente concessa a Giovannino Mastinu è una medaglia al fascista.
Gliel’avranno spacciata come medaglia ad un militare italiano coraggioso.
Lo era, certamente. Ma non solo. Era littorio, orgogliosamente tale. Convinto alleato in armi dei camerati di Germania.
Come la mettiamo, presidente? Revochiamo? Le verrà difficile perché, quando si tentò di revocare il cavalierato della repubblica a Tito, fu risposto: la revoca dell’onorificenza «prevede che la persona oggetto dell’eventuale revoca debba essere preventivamente informata, onde poter presentare una memoria scritta a propria difesa. La possibilità di revocare l’onorificenza, pertanto, presuppone l’esistenza in vita dell’insignito».
Teniamoci Tito, allora, ma anche i fascisti, ahivoi!

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