martedì 3 Dicembre 2024

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Ma a furia di “scoperte” cancelleremo tutto, presi da un’ossessione senza senso.

Il segreto dell’altruismo si nasconde in un’area del cervello chiamata vmPfc, la corteccia prefrontale ventromediale. Lo ha scoperto un gruppo di scienziati delle università di Birmingham e di Oxford, in Gb, che studiando una ventina di pazienti con danni in questa regione cerebrale l’hanno identificata come ‘casa’ della voglia di aiutare il prossimo. La ricerca è pubblicata su ‘Nature Human Behaviour’ e secondo gli autori potrà aiutare a capire come motivare le persone a spendersi per vincere alcune delle principali sfide dei nostri giorni: dal cambiamento climatico ai venti di guerra che soffiano sempre più forti. Sapere cosa anima i sentimenti di solidarietà fra esseri umani, inoltre, potrebbe contribuire a definire nuovi approcci contro i disturbi che condizionano le interazioni sociali.
“I cosiddetti comportamenti prosociali – spiega Patricia Lockwood, autrice principale del lavoro – sono essenziali” per remare uniti verso il bene dei singoli individui, dell’umanità e del pianeta. “Eppure aiutare gli altri è spesso faticoso e gli esseri umani sono contrari allo sforzo”, costituzionalmente restii a imbarcarsi in cose difficili, che sia un’azione buona o una grande impresa. “Comprendere come le decisioni di aiuto vengono elaborate nel cervello è estremamente importante”.
Gli studiosi si sono concentrati sulla vmPfc, una regione situata nella parte anteriore del cervello, perché già se ne conosceva il ruolo chiave nei processi decisionali e in altre funzioni esecutive. Grazie alla risonanza magnetica (Mri), precedenti ricerche hanno collegato quest’area cerebrale a scelte che implicano un compromesso tra la prospettiva di ricevere una ricompensa e lo sforzo necessario per ottenerla. Ma tecniche come la Mri non possono dimostrare se da una determinata regione del cervello dipendono effettivamente specifiche funzioni.

Lo studio
Gli autori hanno quindi reclutato 25 pazienti che presentavano danni alla vmPfc, 15 con lesioni in altre zone cerebrali e 40 persone sane confrontabili con i primi due gruppi. Hanno poi sottoposto tutti i partecipanti a un esperimento che permettesse di valutare l’impatto del danno vmPfc.
A ogni partecipante all’esperimento è stato chiesto di portare a termine un compito che consentiva di misurare quanto fosse disposto a sostenere uno sforzo fisico, in cambio di una ricompensa in denaro per sé e per un’altra persona. I ricercatori sono stati in grado di trasmettere la sensazione che lo sforzo compiuto avrebbe prodotto conseguenze reali. Ogni scelta fatta variava in base all’entità del premio disponibile per sé e per l’altro, nonché alla fatica necessaria a conquistare la ricompensa. Questo ha permesso di misurare separatamente l’impatto del bonus e dello sforzo e di quantificare con precisione la motivazione delle persone, attraverso modelli matematici avanzati.
I risultati dello studio hanno mostrato “chiaramente” l’associazione fra vmPfc e altruismo. Rispetto agli altri gruppi, hanno osservato gli scienziati, i pazienti con danno vmPfc erano meno disposti a scegliere di aiutare gli altri, o comunque si sforzavano meno anche quando decidevano di farlo. Non solo. In una fase successiva, utilizzando una tecnica detta mappatura dei sintomi della lesione, gli autori sono riusciti a identificare sottoregioni ancora più specifiche della vmPfc, il cui danno rendeva le persone particolarmente antisociali e riluttanti se si trattava di faticare per il bene di un altro. E “sorprendentemente – hanno rilevato gli scienziati – i danni a una subregione vicina, ma diversa, hanno reso le persone relativamente più disposte ad aiutare”.
“Oltre a comprendere meglio la motivazione prosociale – commenta Jo Cutler, co-autrice dello studio – questa ricerca potrebbe anche aiutarci a sviluppare nuovi trattamenti per disturbi clinici come la psicopatia”. La vmPfc “è particolarmente interessante – conclude Lockwood – perché sappiamo che subisce uno sviluppo tardivo negli adolescenti e cambia quando invecchiamo. Sarà davvero interessante vedere se quest’area del cervello può anche essere influenzata dall’istruzione: possiamo imparare a essere migliori e più altruisti?”. La ricerca continua per rispondere anche a questo quesito.

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