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Sfida satellitare

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L’Onu prova a dirimere

L’Assemblea generale delle Nazioni Unite lo scorso dicembre ha approvato una risoluzione che chiede il divieto di effettuare test Asat (Anti Satellite) cinetici.
Una mossa in gran parte simbolica intesa a sostenere iniziative di sostenibilità spaziale più ampie. La risoluzione, introdotta dagli Stati Uniti e da diverse altre nazioni, è stata approvata dall’Assemblea il 7 dicembre insieme a dozzine di altre sul controllo degli armamenti e argomenti correlati tra cui tra cui il No First Placement of Weapons in Outer Space (Nfp).
In totale 155 nazioni hanno votato a favore della risoluzione, con 9 voti contrari e altri 9 astenuti. Bielorussia, Bolivia, Repubblica Centrafricana, Cina, Cuba, Iran, Nicaragua, Russia e Siria si sono opposte mentre India, Laos, Madagascar, Pakistan, Serbia, Sri Lanka, Sudan, Togo e Zimbabwe hanno preferito non esprimersi.
Il provvedimento invita i Paesi a interrompere i test cinetici delle armi antisatellite ad ascesa diretta, ovvero quelle che partono dalla superficie terrestre, motivando la decisione con la preoccupazione che si creino grandi quantità di detriti che possono minacciare la sicurezza di altri satelliti o oggetti in orbita.
La risoluzione non è vincolante, e invita semplicemente gli Stati a porre fine ai test Asat e a “sviluppare ulteriori misure pratiche e contribuire a strumenti legalmente vincolanti per la prevenzione di una corsa agli armamenti nello spazio”.
Quanto approvato dall’Assemblea generale dell’Onu trova origine nella decisione unilaterale degli Stati Uniti, risalente all’aprile del 2022, di non condurre test Asat cinetici di ascesa diretta: una mossa che però non comprende il bando di altri tipi di test, come quelli delle armi a energia diretta, o dei sistemi Asat cinetici posizionati nello spazio, che attualmente sono in fase di sviluppo dalla Russia.
Ad esempio il 15 luglio 2020 dal satellite Cosmos 2543 è stato rilasciato un oggetto in prossimità di un altro satellite russo, attività ritenuta incompatibile con lo scopo dichiarato del sistema satellitare di Mosca e che si ritiene sia stata svolta per testare la capacità di avvicinarsi a un satellite avversario e colpirlo rilasciando “un proiettile”. La Russia, però, è forse quella più attiva (insieme alla Cina e all’India), nel testare sistemi missilistici basati a terra in grado di colpire obiettivi nello spazio: ad aprile 2020 un missile Pl-19 Nudol si è alzato da un dispositivo mobile tipo Tel (Transporter Erector Launcher) andando a colpire il suo bersaglio nello spazio, mentre a novembre 2021 un altro vettore basato a terra ha distrutto il satellite Cosmos 1408, creando quasi 1800 detriti che sono stati tracciati e probabilmente molti altri oggetti troppo piccoli per esserlo. Sappiamo che circa un terzo dei detriti provocati da quel test era ancora in orbita quasi un anno dopo.

Dalla decisione degli Stati Uniti di aprile, altri nove Paesi si sono impegnati a non condurre tali test Asat. La Francia è stata l’ultima ad annunciare la sua decisione al riguardo, seguendo Australia, Canada, Germania, Giappone, Nuova Zelanda, Corea del Sud, Svizzera e Regno Unito.
Anche India e Cina hanno condotto test di questo tipo nel passato recente, mentre gli Stati Uniti hanno effettuato la loro ultima prova nel 1985, quando un cacciabombardiere F-15 ha lanciato un missile Asm-135 che è andato a colpire il suo bersaglio nello spazio. Nel 2008, la U.S. Navy ha utilizzato un missile SM-3 “Standard” del sistema imbarcato Aegis, progettato per intercettare missili balistici e altre minacce aeree, per distruggere un vecchio satellite da ricognizione, ma in questo caso non si tratta di una vera e propria arma Asat come era il missile Asm-135, oggi ritirato dal servizio attivo (almeno secondo fonti ufficiali).
La risoluzione dell’Onu è un primo tentativo di adeguare e aggiornare il diritto internazionale riguardo allo spazio, che sostanzialmente è fermo al 1967 con l’Ost (Outer Space Treaty), che definisce in modo molto aleatorio alcuni limiti come il divieto di mettere armi di distruzione di massa in orbita. Un trattato obsoleto, come abbiamo già avuto modo di dire, proprio perché le nuove armi Asat – cinetiche o a energia diretta – non vi rientrano e che quindi lascia molto campo libero per gli strumenti della Space Warfare.
Se i detriti spaziali generati da un test di un’arma antisatellite di tipo cinetico sono un effettivo pericolo per gli altri oggetti in orbita, e quindi è consigliabile che si ponga fine a questo tipo di sperimentazioni, è anche vero che la risoluzione Onu fortemente sponsorizzata dagli Stati Uniti va a colpire un settore particolarmente “vivace” degli armamenti di Russia e Cina.
In caso di conflitto aperto, eliminare i satelliti avversari è una mossa fondamentale per ottenere il vantaggio sul campo di battaglia insieme ad altri metodi per l’interruzione della capacità C3 (Command Control Communication), che interessa anche i cavi sottomarini.
Attraverso i satelliti, più che le comunicazioni, che passano ancora oggi per la maggior parte attraverso mezzi terrestri come i cavi, è possibile ottenere una precisa posizione geografica: tra i sistemi di guida dei missili da crociera, ad esempio, c’è quello satellitare (GPS e GLONASS). Ai satelliti si devolve anche buona parte dell’attività di ricognizione/spionaggio sebbene ci si affidi ancora a sistemi più flessibili (e la cui rotta è meno prevedibile) come i velivoli ELINT/SIGINT/IMINT.

Non è infatti un caso che recentemente proprio Mosca abbia minacciato di colpire i satelliti occidentali, anche privati (come Starlink di SpaceX) definendoli “quasi-civili”, per l’uso che se ne fa nel conflitto in Ucraina: Kiev grazie alla mole di dati satellitari (e non solo) raccolta dai sistemi della Nato è stata ed è in grado di avere una superiorità informativa che le ha permesso di ottenere successi notevoli, come aver vanificato il tentativo di blitz russo all’aeroporto di Gostomel a inizio delle ostilità, oppure le controffensive su Kharkiv e Kherson, passando anche, più semplicemente, per il targeting degli obiettivi per l’artiglieria a razzo tipo Himars o M-270.
Se gli Stati Uniti si sono fatti promotori di questa risoluzione non vincolante, è anche per ottenere un vantaggio di tipo comunicativo, in quanto l’esito della votazione era scontata: Pechino e Mosca, che come detto stanno puntando molto anche su questa particolare tecnica Asat, hanno votato in modo contrario come da copione già scritto.
Si può discutere sul peso reale di una risoluzione simile anche a livello dell’effetto sull’opinione pubblica mondiale, soprattutto in questo tocca un argomento considerato – molto a torto – di nicchia e non importante, ma avere messo per iscritto un risultato di una votazione, sebbene non abbia portato a nessun tipo legislazione internazionale, sarà comunque spendibile in futuro per avere un appoggio solido e non confutabile nella comunicazione di propaganda, che è un’arma altrettanto efficace quanto un missile Asat.

Paolo Mauri

12 gennaio 1969 – I Led Zeppelin pubblicano il loro primo album, “Led Zeppelin”

wallstreetitalia.com

La Germania ha appena fatto un passo avanti verso la ricerca di un sostituto più verde e a lungo termine del gas naturale e del carbone russi. Giovedì il produttore di energia tedesco RWE e la società energetica statale norvegese Equinor hanno annunciato l’intenzione di costruire centrali elettriche alimentate a idrogeno in Germania nei prossimi anni, nonché un importante gasdotto tra i due paesi per alimentarle.
L’accordo, che non è ancora legalmente vincolante, fa parte degli sforzi della Germania per eliminare gradualmente tutte le centrali elettriche a carbone entro il 2030 e decarbonizzare il proprio settore energetico. Berlino si è radicalmente allontanata dalla Russia come fonte di energia dalla sua invasione dell’Ucraina e ha bisogno di trovare fornitori alternativi sicuri.
“Attraverso questa collaborazione rafforzeremo la sicurezza energetica a lungo termine per il principale paese industriale europeo”, ha dichiarato Anders Opedal, CEO e presidente di Equinor.
Le centrali elettriche, di proprietà congiunta di RWE ed Equinor, funzioneranno inizialmente con gas naturale prodotto in Norvegia prima di passare all’idrogeno “blu”, anch’esso prodotto in Norvegia utilizzando gas naturale e pompato attraverso il gasdotto sottomarino, hanno affermato le società.

Più del 95% dell’anidride carbonica emessa durante la produzione di idrogeno sarà catturata e immagazzinata sotto il fondale marino, hanno aggiunto. Equinor prevede di sviluppare una capacità di produzione di 2 gigawatt per l’idrogeno “blu” entro il 2030. L’obiettivo finale è generare il cosiddetto idrogeno “verde” utilizzando energia rinnovabile prodotta da parchi eolici offshore, hanno affermato, senza fornire date obiettivo.
“In questo contesto, garantiremo l’integrità ambientale e climatica stabilendo, ad esempio, gli standard più elevati possibili per la cattura e lo stoccaggio del carbonio. Entrambi i paesi puntano ad aumentare rapidamente la produzione di energia rinnovabile, un prerequisito per la produzione di idrogeno verde. L’idrogeno verde può successivamente essere introdotto gradualmente nell’infrastruttura di trasporto comune”, è stato dichiarato da entrambe le nazioni durante l’incontro.
L’Unione Europea ha l’obiettivo di costruire una capacità di produzione di idrogeno rinnovabile di 40 gigawatt entro il 2030.
Ha affermato Markus Krebber, amministratore delegato di RWE, nella dichiarazione:
“C’è un urgente bisogno di una rapida accelerazione dell’economia dell’idrogeno”,
“L’idrogeno blu in grandi quantità può iniziare ad essere utilizzato, con la successiva conversione in fornitura di idrogeno verde”.
Le società non hanno dichiarato quante centrali elettriche intendono costruire o il valore dei loro investimenti
La Norvegia è ora il più grande fornitore europeo di gas naturale, secondo le statistiche ufficiali dell’UE. Da quando la Russia ha iniziato a tagliare le sue esportazioni verso il blocco come rappresaglia per le sanzioni europee sulla guerra in Ucraina, il paese nordico ha aumentato le proprie esportazioni per aiutare a colmare il divario.
In una conferenza stampa a Oslo questa mattina, Robert Habeck, vicecancelliere tedesco e ministro per gli affari economici e l’azione per il clima, ha dichiarato che mentre il suo partito dei Verdi era molto scettico sull’idrogeno blu, ora crede che sia necessario ridurre rapidamente emissioni di carbonio.
“Finché non abbiamo altra alternativa, non possiamo semplicemente ‘aspettare e vedere’ più a lungo. Se me lo chiedi, preferirei mettere la CO 2 nel terreno piuttosto che nell’atmosfera.”
“Nel bel mezzo della crisi energetica, vediamo quanto sia importante la Norvegia come fornitore affidabile di gas per l’Europa, ma vediamo anche quanto sia fondamentale passare più rapidamente a più energia rinnovabile”, ha detto ai giornalisti a Oslo giovedì il primo ministro norvegese Jonas Gahr Stoere.

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