lunedì 1 Luglio 2024

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I cinesi stavolta siamo noi. Mentre in Italia, a Pomigliano e non solo, lo spauracchio è rappresentato dalle buste paga ultraleggere degli operai orientali, un passo fuori del confine nord dello Stivale sono gli italiani a far paura agli svizzeri. Una interpellanza parlamentare e un documento sindacale riaccendono i fuochi sulla rivalità tra la manodopera del Canton Ticino e l’esercito dei frontalieri, i circa 40 mila lombardi che ogni giorno varcano il confine per lavorare in Svizzera.
La Lega dei ticinesi, movimento gemellato con quello di Bossi da sempre conduce una battaglia accesa contro l’invasione degli stranieri (cioè gli italiani); questa volta fa specie che l’iniziativa sia stata presa da due parlamentari del partito socialista e da un sindacato — l’Unia — da sempre considerato su posizioni di sinistra: entrambi sono convinti che con la crisi montante anche in Svizzera, l’import di manodopera italiana stia avendo effetti insostenibili di dumping salariale e precarizzazione dei contratti.
L’interrogazione è stata presentata al Gran consiglio (l’assemblea del Canton Ticino) dai rappresentanti socialisti Raoul Ghisletta e Saverio Lurati (quest’ultimo è anche sindacalista dell’Unia) e punta innanzitutto il dito contro il settore del commercio, uno di quelli in cui è più pesante la presenza di lavoratori italiani. I due deputati hanno notato una ォesplosione dei permessi di breve durata, 6.325 nuove notifiche (trattasi di permessi fino a un massimo di 3 mesi). Notifiche che, nella maggior parte dei casi, sono state inoltrate da ditte con sede nel nostro cantone che preferiscono ricorrere a lavoratori precari attinti oltre confine piuttosto che assumere persone in loco. In molti casi ciò si è purtroppo verificato anche per la realizzazione di opere pubbliche”.
In conseguenza di ciò Ghisletta e Lurati chiedono di conoscere “come si intende intervenire presso quelle ditte di commercio che non assumono residenti o offrono condizioni di lavoro inadeguate” e di “sospendere tutte le deroghe ad aperture di negozi se tali ditte rimarranno insensibili ai richiami politici”.
E’ una delle prime volta che un sindacato e un partito di sinistra rompono il fronte della solidarietà tra lavoratori, chiedendo esplicite misure di protezione a svantaggio dei frontalieri. Ma l’interrogazione di Lurati e Ghisletta segue di poco un documento diffuso sempre da Unia molto critico nei confronti delle condizioni salariali praticate in Canton Ticino in seguito alla più basse buste paga accettate dagli italiani (in Svizzera non esistono contratti nazionali di lavoro, ma solo accordi regionali o aziendali). Quel documento riguarda in particolare l’industria dell’orologeria, che viaggia a ritmi di piena occupazione nonostante la crisi; Unia fa notare che mentre a Ginevra o a Neuchatel il salario di un operaio del settore è di 3.500-3.800 franchi al mese (circa 2.500 euro), a Lugano e dintorni tale soglia scende a 2.500 franchi proprio per il dumping dei frontalieri.

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