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La strategia americana nel segno saudita (e israeliano)

È “solo” un tweet. Non una dichiarazione di guerra. Ma quel “cinguettio” presidenziale rafforza la dottrina Pompeo&Bolton sull’Iran: sanzioni e pressioni militari hanno come obiettivo strategico la fine del regime degli ayatollah e non il contenimento dell’espansionismo della mezzaluna sciita in Medio Oriente. “Se l’Iran vuole lo scontro questa sarà ufficialmente la sua fine, mai più minacce agli Usa”. Così Donald Trump. Non è la prima volta che l’inquilino della Casa Bianca usa toni incendiari verso Teheran. Stavolta, però, il messaggio parte quando i B52 sono già di stanza in Qatar e la portaerei Abraham Lincoln, con i suoi missili Patriot, si trova nel Golfo Persico. L’avvertimento arriva dopo che un razzo è stato lanciato nella Green Zone di Baghdad dove si trova l’ambasciata Usa e i sospetti di molti ricadono su una delle milizie sciite sostenute dal regime di Teheran. Al messaggio di Trump ha risposto il generale Ali Hajilou, comandante delle forze di terra dell’esercito, spiegando di essere pronto a dare una risposta devastante a qualsiasi aggressione nemica. “I prodotti dei nostri scienziati militari sono molto avanzati, e oggi grazie a loro siamo autosufficienti in campo militare”. Invece “i nemici dell’Iran islamico sono incapaci di operazioni sul terreno e per questo ricorrono alla guerra mediatica”, ha aggiunto citato dall’agenzia Tasnim. Alle dichiarazioni di Trump ha risposto anche Hesameddin Ashena, consigliere del presidente iraniano: “Non fatevi ingannare da Trump. Fa dichiarazioni inconsistenti e chiede pesanti concessioni per ridurre la probabilità di una guerra in modo da costringerci ad accettare le sanzioni nel timore di una guerra”. Il consigliere ha poi aggiunto che si “impegneranno a resistere a tutte le sanzioni”.
Le varie anime del regime iraniano ritrovano una loro unità (di facciata) nel contrastare con esternazioni infuocate l’avvertimento del tycoon di Washington. La “parodia omicida” di Donald Trump “non porrà fine all’Iran”. Così il capo della diplomazia iraniana, Mohammad Javad Zarif, “Gli iraniani sono rimasti in piedi per migliaia di anni, mentre i loro aggressori sono andati tutti. Terrorismo economico e provocazioni genocide non porranno fine all’Iran”, ha scritto Zarif sul suo account Twitter.“Il signor Trump spera di riuscire dove Alexander (il Grande), Genghis (Khan) e altri aggressori hanno fallito”, ha aggiunto il capo della diplomazia di Teheran, riferendosi a due conquistatori stranieri che hanno dominato la Persia (l’antico nome dell’ Iran ) in un dato periodo della sua storia millenaria. “Prova rispetto, funziona”, ha”consigliato” Zarif all’inquilino della Casa Bianca. La tensione era già alta dalla scorsa settimana.
Da quando, cioè, il Dipartimento di Stato americano, con una decisione straordinaria, aveva ordinato a tutto il personale non essenziale di lasciare l’ambasciata a Baghdad e il consolato Usa nella città di Irbil, nel nord dell’Iraq. La mossa era stata motivata dall’esistenza di una minaccia da parte dell’Iran. Pochi giorni fa, tuttavia, il presidente americano aveva utilizzato toni più moderati in un’intervista a Fox News: “Io non sono uno che vuole la guerra, perché le guerre fanno male all’economia, e, cosa più importante, uccidono le persone”. Trump però aggiunge: “Io non voglio lo scontro ma quando si hanno situazioni come quella dell’Iran, non possiamo permettere che abbiano le armi nucleari, – conclude – non possiamo semplicemente permetterlo”. Il tweet di Trump contro l’Iran e le dichiarazioni rilasciate nella giornata di ieri dal ministro saudita dell’energia Khalid al-Falih, fanno volare il prezzo del petrolio. La combinazione dei due fattori ha portato i futures sul Brent a salire fino a oltre +1% a $73,40 al barile, al record dal 26 aprile scorso. Il Pentagono mantiene lo stato di allerta, da quando il 5 maggio scorso il consigliere per la sicurezza nazionale, John Bolton, aveva annunciato l’invio nella regione della portaerei Abraham Lincoln e di uno squadrone di bombardieri B-52.

La Difesa americana fa sapere di avere immagini satellitari che mostrano imbarcazioni iraniane trasportare di nascosto dei missili. Dall’altra parte arriva l’avvertimento di un alto ufficiale dei Pasdaran (le Guardie della Rivoluzione), Mohammad Saleh Jokar: “I nostri razzi hanno un raggio di azione di duemila chilometri e quindi possono colpire facilmente qualsiasi nave nel Golfo Persico”.
Tutte queste dichiarazioni bellicose potrebbero accendere o riaccendere scontri più o meno ad alta intensità in Iraq, in Siria, nello Yemen e, forse, anche in Libano, dove operano gli Hezbollah, tra gli alleati più stretti degli iraniani. Il minaccioso “cinguettio” di Trump è anche un messaggio rassicurante indirizzato ai suoi alleati mediorientali: Israele e Arabia Saudita (con il Regno Saud capofila delle petromnarchie del Golfo, con l’esclusione del Qatar). Di certo, i falchi di Gerusalemme hanno sposato in pieno pratiche e obiettivi dei loro omologhi a Washington. Il contenimento delle mire espansionistiche di Teheran in Medio Oriente non è più l’obiettivo prioritario.

Occorre mirare più in alto: abbattere il regime degli ayatollah. “Da tempo e in ogni consesso internazionale abbiamo denunciato la pericolosità del regime iraniano e la sua determinazione ad assumere una posizione di comando in Medio Oriente. Non si tratta solo del dossier nucleare. Non c’è Paese del Medio Oriente in cui Teheran non ha allungato i suoi tentacoli, direttamente, come in Siria, Iraq e Yemen, o indirettamente, come in Libano attraverso Hezbollah o a Gaza con la Jihad islamica”, ha dichiarato nei giorni ad HuffPost Yuval Steinitz, uno dei ministri israeliani più vicini a Netanyahu. Quanto al fronte sunnita anti-iraniano, diversi Paesi del Golfo, fra cui l’Arabia Saudita, hanno approvato la richiesta degli Stati Uniti di rafforzare la propria presenza militare nella regione per prevenire possibili attacchi da parte dell’Iran. Lo hanno dichiarato fonti locali “ben informate” al quotidiano pan-arabo Asharq al Awsat, edito a Londra.
Secondo tali fonti, il ridispiegamento delle forze Usa sarebbe funzionale a scongiurare un’escalation militare con l’Iran e a rafforzare la cooperazione tra gli Stati Uniti e i Paesi della regione in materia di difesa. Inoltre, tale misura avrebbe l’obiettivo di rafforzare la sicurezza delle rotte commerciali petrolifere ed impedire alla Repubblica islamica di minacciare il traffico marittimo nel Golfo. Lunedì scorso quattro navi commerciali – due saudite, una emiratina e una norvegese – sono state oggetto di un attacco al largo del porto di Fuhjairah che non ha provocato vittime, né sversamenti di sostanze inquinanti in mare. Secondo indagini preliminari, l’azione sarebbe stata condotta attraverso droni sottomarini. Il ridispiegamento delle forze Usa avverrebbe sulla base di accordi bilaterali.
“L’Arabia Saudita e gli altri Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo non vogliono entrare in guerra con l’Iran, ma vogliono inviare un messaggio forte a Teheran, disegnare una linea rossa che non si può superare con le provocazioni nell’area”, scrive Asharq al Awsat. Il tweet con l’elmetto di The Donald si spiega anche così.

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