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Va male ma potrebbe andare peggio

Si attenua l’inflazione in Italia e secondo le stime preliminari dell’Istat a gennaio si attesta a +10,1%, livello che non si registrava da settembre 1984, quando il NIC fece segnare la medesima variazione tendenziale.
L’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, su base mensile registra un aumento dello 0,2% su base mensile. Il rallentamento è spiegato in primo luogo dall’inversione di tendenza dei beni energetici regolamentati (-10,9% su base annua).
Rallentano in misura minore invece i prezzi degli energetici non regolamentati (da +63,3% a +59,6%), degli alimentari non lavorati (da +9,5% a +8,0%) e dei servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (da +6,2% a +5,5%); gli effetti di tali andamenti sono stati solo in parte controbilanciati dall’accelerazione dei prezzi dei beni alimentari lavorati (da +14,9% a +15,2%), dei Beni non durevoli (da +6,1% a +6,8%) e dei servizi relativi all’abitazione (da +2,1% a +3,2%).

L’aumento congiunturale dell’indice generale si deve prevalentemente ai prezzi dei servizi per l’abitazione (+1,6%), degli alimentari lavorati (+1,5%), dei beni durevoli e non durevoli (+0,8% per entrambi), degli energetici non regolamentati (+0,7%); un effetto di contenimento deriva invece dal calo dei prezzi degli energetici regolamentati (-24,7%) e di quelli dei servizi relativi ai trasporti (-1,6% a causa di fattori stagionali). L’inflazione acquisita per il 2023 è pari a +5,3% per l’indice generale e a +3,2% per la componente di fondo.

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