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Sta diventando infernet

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In prigione, in prigione 2

 

Un nuovo pericolo per la libertà in rete secondo alcuni, un progetto che non ha nessuna possibilità di funzionare per altri. L’iniziativa Clean IT, sostenuta da una decina di governi europei, sta riaccendendo in questi giorni le preoccupazioni sulla libertà di espressione online, dopo le preoccupazioni sollevate dall’accordo Acta 1, respinto dal Parlamento Europeo.
Il progetto Clean IT, in inglese “pulire l’Information Technology”, punta a realizzare una cooperazione tra aziende private e settore pubblico per contrastare l’uso di internet da parte del terrorismo internazionale: obiettivo che qualcuno trova piuttosto generico e già più volte usato come pretesto per limitare la circolazione delle idee online.
Finanziato dalla Commissione Europea con oltre 300mila euro, e supportato da dieci tra governi europei e agenzie nazionali per la sicurezza (l’Italia non è inclusa), Clean IT non punta alla realizzazione di un disegno di legge o di un atto normativo, quanto alla compilazione di una serie di principi guida che possano essere condivisi tra gli operatori su scala volontaria.
Con l’intento di “colmare la distanza tra autorità pubblica e iniziativa privata”, nelle informazioni presenti sul sito viene spiegato 2 che l’industria privata (i provider) dovrebbe farsi carico di una serie di misure per permettere la segnalazione e la limitazione dei casi in cui la rete è usata per scopi terroristici (non meglio definiti). Misure ancora solo abbozzate, ma che includerebbero un database di casi accertati a cui tutti i provider accederebbero per bloccare determinati siti, un sistema integrato per permettere la segnalazione del terrorismo online da parte degli utenti e persino una limitazione dell’anonimato in rete.
Una bozza riservata e più dettagliata 3 delle misure proposte è stata pubblicata di recente dall’European Digital Right (Edri), associazione europea per i diritti digitali, che ha lanciato l’allarme su Clean IT, definendolo “un piano antidemocratico di sorveglianza su larga scala” e ha puntato il dito verso le sue contraddizioni.
“Il documento pubblicato – denuncia la Edri – contraddice la lettera di intenti iniziale, che spiegava come il progetto avrebbe prima identificato il problema e poi avanzato proposte. La promessa di difendere il ruolo della legge è stata abbandonata e non risulta alcun intento di identificare un problema specifico da risolvere, mentre l’iniziativa è diventata poco più di un racket per l’industria della sicurezza online”.
L’allarme lanciato dalla Edri, che ha alimentato negli ultimi giorni il dibattito intorno all’iniziativa, viene in parte ridimensionato da altri esperti di diritto digitale. Cauto sul giudizio è Guido Scorza, avvocato e fondatore dell’istituto per le politiche dell’innovazione, promotore di iniziative in difesa della libertà in rete. “Mi sembra un progetto ancora troppo generico – spiega Scorza a Repubblica.it – al momento non vedo gli elementi né per poter affermare che ci sono dietro delle volontà censorie né per dire che possiamo stare tranquilli. Nei documenti ufficiali non si legge nulla di davvero allarmante. Alcuni principi sono interessanti (come la collaborazione tra pubblico e privato), ma è troppo presto per dare un giudizio”.
Scettico è anche Fulvia Sarzana, avvocato esperto di diritto digitale, secondo cui il progetto non ha alcuna possibilità di funzionare, sia per motivi tecnici che per ragioni legali. “E’ un testo molto confuso, una sorta di polpettone di intenti”, ci spiega Sarzana. “Non è una proposta di legge e opera ad un livello preventivo: quindi da un punto di vista delle normative Ue non è in regola, poiché è stato stabilito anche di recente che non possono esserci filtri preventivi”. Ai dubbi sulla sua legalità si aggiungono poi delle valutazioni di carattere puramente tecnico. “Questa idea può essere definita quasi una pazzia. Prevede la creazione di un sistema ‘alla Grande Fratello’ troppo complesso, che non ha alcuna possibilità di funzionare”.

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