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Sul mare Israele teme i controlli

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Una regolamentazione ne blocchrebbe i traffici inconfessabili

La guerra segreta che si combatte tra Iran e Israele entra anche nel diritto internazionale. Secondo quanto riportato dal quotidiano israeliano Haaretz, infatti, i funzionari dello Stato ebraico hanno avviato da tempo un progetto di revisione delle regole di guerra nel campo navale. Negli ultimi mesi, i funzionari della Difesa israeliana, in particolare quelli dell’avvocatura generale, hanno infatti partecipato a numerose riunioni che hanno avuto come obiettivo quello di definire le nuove regole di ingaggio della guerra in mare. Un settore “regolato” dal Manuale di Sanremo, e che adesso deve adeguarsi ai nuovi conflitti che caratterizzano il dominio marittimo.
Ciò che interessa maggiormente Israele è il tema dei controlli sulle navi mercantili utilizzati per scopi bellici. L’articolo 67 del Manuale di Sanremo prevede infatti alcune particolari condizioni per poter colpire navi mercantili che battono bandiera neutrale. E queste condizioni riguardano la ragionevole possibilità che venga usate per il contrabbando o violino un blocco, il rifiuto espresso o la resistenza a una perquisizione o cattura, il compimento “azioni militari per conto del nemico” o il loro utilizzo per attività di intelligence e ausiliarie, fino a contribuire in generale qualsiasi tipo di azione da parte del nemico.
Il testo dell’articolo 67, che viene citato appunto dai funzionari israeliani come il “problema”, sembra coprire qualsiasi tipo di condizione. Il quotidiano israeliano pone l’accento sulle difficoltà di provare i sospetti per alcune navi accusate di essere strumenti di contrabbando di armi o di sostengo a gruppi terroristici. Ma fatta una premessa: Israele, così come altre potenze, ha sempre applicato in via analogica – e interpretandolo in maniera estensiva – il concetto di “legittima difesa preventiva” proprio per ispezionare o colpire qualsiasi nave considerata nemica o legata ai suoi avversari. Quindi, come spiegato da fonti di alto livello sentite da InsideOver, il problema è puramente formale: in questo momento c’è la necessità di fornire un quadro giuridico più dettagliato su ipotesi per le quali la Marina israeliana già agisce. Così come agiscono altre marine di tutto il mondo impegnate in aree di crisi.
Questa necessità nasce anche da un altro fattore particolarmente rilevante, e cioè che formalmente Iran e Israele in guerra non lo sono. E in un’epoca di guerre ibride, asimmetriche e sostanzialmente mai dichiarate, è evidente che risulta sempre più complicato poter definire l’ambito di un’azione navale “nemica”. Se non c’è un conflitto, di fatto non c’è nemmeno un nemico. Questione ancora più significativa se si pensa che il Manuale del 1994, come spiegato dalle nostre fonti, nasce in un periodo in cui l’esempio più vicino di guerra combattuta in mare e usato dagli esperti era quello delle Falkland. Quindi uno scenario completamente diverso da quello cui assistiamo oggi.

In questi mesi la guerra per mare si è combattuta soprattutto con azioni di sabotaggi, attacchi cyber, colpi su mercantili sospettati di essere parte di un sistema nemico o di coprire azioni di guerra da parte del proprio Stato pur non essendoci mai un coinvolgimento diretto. Quindi non si tratta solo di una guerra “segreta” che colpisce mercantili utilizzati come navi militari, ma di una guerra volutamente lasciata in una zona grigia. Zona grigia che però mette a repentaglio la libertà di navigazione e soprattutto che rende estremamente pericoloso il passaggio su rotte di fondamentale importanza per il commercio mondiale.
La decisone di Israele di puntare su questo aggiornamento legale potrebbe quindi nascere da due diverse esigenze. Da una parte la necessità di evitare di essere accusati di azioni illegali o di mettere a repentaglio la navigazione nelle acque del Mar Rosso o del Mare Arabico o del Mediterraneo orientale. Aggiornare questo insieme di regole, che non sono comunque vincolanti ma solo utilizzabili come parametri di riferimento, potrebbe quindi essere una mossa preventiva per continuare la politica che ha condotto da diversi anni nelle acque più vicine, in particolare contro cargo legati a Teheran. Dall’altra parte, questo tipo di spinta per la nuova regolamentazione potrebbe anche essere preludio di un riconoscimento internazionale di queste azioni, che fornendo un quadro legale chiaro anche per le altre nazioni darebbe ipoteticamente il via anche a missioni multilaterali per il controllo delle rotte e per colpire le navi “nemiche” ma che, tecnicamente, “nemiche” non lo sono.

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