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Quanto ti costeranno gli ottanta euro di Renzi?

Acque agitate sul fronte «tassa sui telefonini». Come è noto una settimana fa il ministro Franceschini ha diramato tramite comunicato stampa la tabella parziale che stabilisce gli aumenti per «l’equo compenso dovuto per copia privata». Va precisato che a tutt’oggi il Decreto definitivo, con le cifre per tutti i dispositivi digitali, non è ancora stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Poi, dopo dieci giorni entrerà in attuazione. Le cifre sono 4 euro per smartphone e tablet, rispetto a 0,90 euro e «zero» di prima. Considerando i trend di crescita del mercato consumer italiano 2014, si stima un gettito totale per le casse Siae di 157 milioni di euro. Con un aumento del 150% rispetto ai 63 milioni del 2013. Peraltro il rapporto Castex dello scorso febbraio della Commissione europea, ha previsto un introito totale per i Paesi Ue di 600 milioni di euro. Dunque l’Italia, una volta operativo il decreto, da sola riscuoterà oltre un quarto dei compensi europei. E non è poco.
I contrari
Il fronte di pro e contro è spaccato. Contraria agli aumenti è Confindustria Digitale che la ritiene «del tutto ingiustificata». E per voce del presidente Elio Catania ha spiegato ieri in conferenza: «È una situazione paradossale, contraria al comportamento dei consumatori italiani che privilegiano lo streaming, per il quali il diritto d’autore è corrisposto ai titolari dai gestori delle piattaforme digitali, mentre la copia privata tende a diventare sempre meno diffusa». Dichiarazione in linea con il rapporto commissionato dallo stesso ministero alla torinese Quorum, secondo cui solo 13 italiani su 100 fanno una copia per uso privato di contenuti audio-video in un secondo dispositivo digitale. Parere contrario al provvedimento anche da parte di Claudio Lamperti, vicepresidente Anitec: «I compensi basati sulla capacità di memoria, previsti dal Decreto per smartphone e tablet penalizzano i dispositivi performanti. Si rinuncia così allo sforzo, più volte chiesto, di ripensare l’equo compenso per allinearlo con le abitudini dei consumatori e l’evoluzione tecnologica». Sul piede di guerra anche Altroconsumo che ha già raccolto 60 mila firme di protesta dei consumatori e farà ricorso al Tar del Lazio. Precisa: «Seguendo i trend tecnologici l’aggiornamento doveva essere al ribasso, con la riduzione delle tariffe».
Così nel resto d’Europa
Lo scenario Ue si presenta disomogeneo: 15 Paesi, tra cui Germania e Francia applicano un sistema analogo all’Italia. Dei rimanenti 13, Regno Unito, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Cipro e Spagna non prevedono imposizioni. Mentre Polonia, Romania, Grecia, Bulgaria, Lituania Slovacchia, Repubblica Ceca calcolano il compenso in percentuale sul prezzo di vendita. Così, facendo il confronto con quando previsto dal Decreto per tablet e smartpohe da 16 GB in Italia si pagheranno 4,0 euro, contro una media Ue rispettivamente di 1,57 e 2,89 euro. Per questo il Corriere della Sera ha chiesto direttamente al ministro Franceschini «con quali criteri nella stesura della tabella si è tenuto conto del peso degli altri Paesi Ue, inclusi quelli dove l’equo compenso è minore o assente?». Dal ministero al momento non è possibile avere una risposta nel merito, ma viene ribadita la volontà adi andare avanti lungo la strada tracciata la scorsa settimana.
I favorevoli
Abbiamo dunque proseguito i nostri sondaggi e, sintetizzando alcune delle domande poste dai lettori, abbiamo chiesto alla Siae: «Perché il consumatore deve pagare a priori un compenso basandosi sul presupposto che possa fare una copia?». Risponde il vicepresidente, Filippo Sugar: «Il consumatore non paga proprio nulla. È il produttore che paga la licenza per fare copie private sui dispositivi digitali in vendita». E se invece un utente usa smartphone e tablet solo per lavoro, dunque non fa copie dei contenuti audio-video che succede? Può chiedere la restituzione del compenso? «In caso di uso professionale dei supporti i produttori sono esenti dal pagamento e vengono stipulate apposite convenzioni». Anche Confindustria Cultura difende le decisioni del ministro e per voce di Marco Polillo precisa: «È una falsa rappresentazione quella che vede l’equo compenso come tassa sull’innovazione e nemica dei giovani consumatori di tecnologie digitali. Neghiamo che il compenso possa andare a rimpinguare il bilancio Siae. La società ha il mandato per legge di incassare il compenso, ma l’intera somma viene poi ripartita ad autori, editori, artisti e imprese del settore».
I casi Francia e Germania
A mescolare le carte in ambito Ue è un fatto nuovo, riguarda la Francia. Due giorni fa il Consiglio di Stato ha dato ragione ai produttori in materia di equo compenso. Non solo. La stessa Germania si trova in una posizione di stallo, perché a fronte delle nuove tabelle che prevedono aumenti fino a 36 euro, risulta che le cifre richieste sono bloccate dal ricorso dei produttori. Dunque l’industria digitale tedesca non sta pagando i compensi. E possiamo stare certi che questo in un modo o nell’altro accadrà anche da noi, come anticipa il comunicato di Confindustria Digitale: «Non è difficile prevedere che tali aumenti graveranno inevitabilmente sulla dinamica dei prezzi, irrigidendo, per esempio, la politica delle offerte e degli sconti». Quindi gli italiani si preparino a mettere mano al portafoglio.

 

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