Vende subito prima che il Coronavirus faccia crollare le azioni
Negli Stati Uniti sta montando la polemica contro Richard Burr, senatore repubblicano del North Carolina e a capo del prestigioso comitato sull’intelligence di Capitol Hill dal 2015, che avrebbe venduto una consistente quota dei suoi asset finanziari pochi giorni prima che in borsa si scatenasse la tempesta finanziaria in cui Wall Street è stata dolorosamente coinvolta.
A rivelare la notizia sono state, prima di tutti gli altri, due organizzazioni non governative che gestiscono testate d’inchiesta, ProPublica e The Center for Responsive Politics. Secondo quanto si apprende dall’inchiesta Burr avrebbe venduto in 33 diverse transazioni una quota di azioni dal valore compreso tra i 628.000 e gli 1,72 milioni di dollari nella giornata del 13 febbraio, oltre una settimana prima che l’emergenza coronavirus iniziasse ad affacciarsi sugli Stati Uniti.
Burr, sottolinea ProPublica, potrebbe aver agito sulla scia delle informazioni riservate a cui ha accesso per la sua posizione al Senato, facendo leva su di esse per compiere un atto di insider trading. I promotori dell’inchiesta segnalano come prova a favore dei sospetti su Burr lo scostamento notevole tra le dichiarazioni pubbliche e private del Senatore repubblicano, da tempo ritenuto uno dei più conservatori di Capitol Hill. In un editoriale pubblicato sul sito di Fox News il 7 febbraio scorso Barr, assieme al senatore del Tennessee Lamar Alexander, si dichiarava estremamente fiducioso sulle capacità dell’amministrazione Trump e del Congresso di contenere e rispondere all’epidemia, in una fase in cui lo stesso Presidente si era contraddistinto per un’aperta minimizzazione del rischio sanitario.
Secondo i giornalisti che hanno condotto l’inchiesta, tali dichiarazioni cozzerebbero con quanto Barr avrebbe dichiarato a un evento privato in North Carolina nella serata del 27 febbraio e che è stato reso pubblico dalle registrazioni ottenute dalla National Public Radio. Burr avrebbe, in tale occasione, mentre i mercati iniziavano a cadere e i casi a moltiplicarsi, criticato l’amministrazione per la sua inerzia e dichiarato che il coronavirus “è molto più aggressivo nella trasmissione di quanto abbiamo mai visto nella nostra storia recente” e sarebbe addirittura da paragonare all’influenza spagnola del 1918.
Si può dunque tracciare un filo rosso tra queste dichiarazioni e la condotta in borsa di Burr che, è bene ricordarlo, ha notevolmente ridimensionato il suo patrimonio azionario non particolarmente elevato per la media dei membri di Capitol Hill? L’ipotesi posta in essere è che Burr abbia approfittato della presenza di informazioni dettagliate da parte dei servizi segreti al suo comitato, che per l’agenzia Reuters erano aggiornate in briefing quotidiani già ai tempi delle vendite, mentre fonti dell’Associated Press sembrano negarlo, per preservare la sua ricchezza personale. Anticipando così il crollo di circa il 30% di Wall Street, il dimezzamento del valore di Extended Stay America, una catena di strutture di ospitalità di cui deteneva i titoli, e la perdita di due terzi del valore della catena di hotel e resort Wyndham, componente il suo portafogli per circa 150.000 dollari.
Il quadro disegna un giallo di notevole importanza, su cui però è bene non trarre, immediatamente, considerazioni definitive. Wall Street ha conosciuto a fine febbraio la peggiore settimana dal 2008, entrando poi in una fase di elevata volatilità. La magnitudine del crollo e la dura batosta subita dalla borsa Usa, così come la fiammata dei contagi in Europa e Nord America, erano francamente impronosticabili in partenza. Burr è uscito dal mercato circa una decina di giorni prima che il contagio esplodesse in tutta la sua virulenza, anche economica, e ha fatto le dichiarazioni riprese dal Npr a tempesta in corso, in piena alta marea dei mercati. Momenti molto diversi da quelli in cui Barr ha pubblicato l’editoriale su Fox News. Un nesso di causalità diretto tra la sottovalutazione del pericolo ostentata in pubblico, la vendita in borsa e successive dichiarazioni private da parte del capo del comitato sull’Intelligence di Capitol Hill è difficile da dimostrare. Resta, sicuramente, un grande giallo: in attesa di nuove, possibili rivelazioni che possano cambiare lo scenario.