lunedì 30 Dicembre 2024

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Come certi dogmi sono stati male interpretati e hanno condotto a una logica psicotica e a una prigionia di ghetto

 

Non so dire se, come sostengono alcuni, ho polemizzato eccessivamente con i filorussi o se, come sono propenso a credere, sono stato ancora eccessivamente moderato nei loro confronti. 
Oggi voglio astenermi dal trasporto emotivo per cercare di analizzare in modo asettico quello che è un problema di fondo che in molti si riflette anche nell’approccio all’invasione russa. Questo problema è il travisamento del reale dovuto a una lunga sottocultura di ghetto.

La sottocultura di ghetto
parte dal presupposto errato che chi si trova in tale ghetto vi sia stato rinchiuso dal nemico in quanto detiene la verità. Una verità ereditata da altri del passato di cui quasi nessuno però si preoccupa di scoprire l’anima e il pensiero, attribuendogli, retroattivamente, i propri che solitamente non coincidono affatto.
Secondo questa distorsione, che è la madre di tutte le distorsioni, il buono è rinchiuso in un ghetto perché è pericoloso (lo è, in effetti, ma solo per se stesso), il popolo è ingannato e corrotto e c’è un malvagio che tutto muove. Caricatura complottistica da opera buffa di una cultura della dietrologia oramai del tutto abbandonata e – paradosso dei paradossi – rigettata con scherno proprio dai complottisti quando qualcuno la ripropone.

Travisamenti
Annullata l’opera principale, che è conoscere chi si è, dove si è, per cosa si combatte, come si domina se stessi, come si cambia, quindi, il mondo intorno a sé, tutto viene interpretato con la negazione. Si deve negare il nemico perché tutto torni come prima.
Questa stoltezza reazionaria demonizza ogni progresso storico e tecnologico facendo del passato un mondo ideale. In particolare questo accade con la mitizzazione del mondo contadino e della terra. Nulla da ridire se si tratta di ricollegare la civiltà alla natura, ma se si conosce la storia delle culture contadine, se si osservano oggi le culture contadine, come in Cina, in Africa, in Eurasia, con le loro ottuse crudezze, non si può che aver voglia di starne lontani migliaia di chilometri. La civiltà (che anche etimologicamente è legata alla città) è invece l’incontro tra la natura e l’organicità di Polis. La terra sposa del cielo e a confronto con la forma geometrica sacralizzata della città in ordine, risveglia i numina. In assenza di ciò si hanno l’animismo, il tellurismo, la vampirizzazione ctonia, l’informe. Ed è in nome di tutto ciò, non della sana natura, che si è preso un po’ troppo spesso ad opporsi alla civilizzazione contemporanea.

New York, New York!
In una certa area di tutto ciò si ebbe consapevolezza, così come lo si ebbe che la modernità tecnologica e capitalistica poteva essere vissuta in modi assolutamente diversi: comunista, liberale, socialdemocratico, fascista. Il modo in cui lo si viveva avrebbe cambiato l’anima e il destino delle società modernizzate. L’abbraccio veterotestamentario e talmudico tra russi e angloamericani decise che la modernità avrebbe assunto una forma e una sostanza diversa da quella che l’eclettico, sintetico, consapevole e lucido fascismo aveva iniziato a darle, rettificandola.
New York era il santuario del bolscevismo, del capitalismo e poi delle Multinazionali.
Per queste ragioni l’antiamericanismo aveva, e ha continuato ad avere, un senso preciso.
Perché si presuppose – e per quanto mi riguarda si continua a presupporre – che esiste un potenziale europeo, che, legato alle emancipazioni socialnazionali terzomondiste, avrebbe potuto (e forse può) modificare questo quadro e sottrarci alla decadenza.
Per le medesime ragioni, e non per quelle “teologiche” degli strilloni di oggi, si era per uscire dalla Nato. Con un progetto e per un fine, non come un fine in se stesso.

L’altro antiamericanismo
Dimenticata ogni cosa, e fermi su concetti ereditati ma mai compresi, l’antiamericanismo dei ghettizzati è diventato leggermente grottesco. Perché anziché essere la leva per crescere ed emanciparsi, per opporre alla decadenza i dovuti anticorpi, per rigenerarci e divenire potenza, è emersa una narrazione cottolengica (e in fondo globalista nel suo portato reazionario) per la quale prima che arrivassero gli americani (o gli occidentali) tutto andava bene. Se tutto va male non è perché lo spirito di fondo non è assiale e perché la gestione americana non può essere ordinata, ma perché gli americani avrebbero corroso tutto, rovinando una precedente felicità.
Così si è venuta a costruire una realtà storica stravolta. La Russia implosa a fine anni ottanta, una potenza imperialista che si basava su di un sistema di terrore e che dovette reprimere rivolte popolari ovunque per stare in piedi e costruire muri per contenere le fughe di massa, diventa perfino un polo positivo. La sua economia in pezzi viene creduta virtuosa. Qualunque modello sociale o culturale (se ci si può azzardare a usare questa parola) diventa migliore di quelli occidentali. Perfino la Russia zarista con le sue masse di servi della gleba, con la sua assenza di cultura civica, con la sua mancanza di visione architettonica e priva di giustizia.
Con questa possessione va bene tutto ciò che è antioccidentale anche se è oscuro e opprimente, dalle polizie morali iraniane ai laogai cinesi in cui viene smantellato fisicamente e moralmente l’individuo ben oltre i gulag russi. Bene anche il Qatar fustiga-costumi e i tribunali della Jihad. Però poi si denunciano gli immigrati – perché qui interviene il confronto tangibile – come portatori di invasione islamica che, tanto per stare bene con la coscienza, dato che altrove va bene pure quella, è sbagliata perché la vogliono gli americani. Il che è molto riduttivo anche se c’è del vero.

È solo una maschera
Pur non potendo perdonare chi nega il suo sostegno all’Ucraìna aggredita dalle bestie dell’est, non posso non considerare che tale scelta, decisamente sotto la soglia dell’umano, è dettata dal travisamento di concetti giusti (antiamericanismo, decadenza dell’occidentalismo, indipendenza dalla Nato).
Il punto però è che ci si deve confrontare partendo da sé (quindi come italiani ed europei; per la potenza europea e per il genio italiano, non in un’astrazione globalista priva di ogni Genius Loci); e poi per migliorare, non per peggiorare. Rinascenza rispetto a decadenza, non acclamazione di un disastro oscuro proveniente da orde incivili. Infine, se pur è lecito – una volta centratisi come potenza – dialogare con soggetti esteri tutt’altro che ammirevoli, e perfino cooperarvi in strategie di sganciamento dagli Usa che siano però opera nostra, un essere normodotato non può però riconoscersi in essi e sperare che prevalgano su di noi, visto che sono portatori di non pochi aspetti di negazione di civiltà, di socialità e di europeità. Perché una cosa è mettersi in condizione di sfidare chi ci è dominatore e un’altra è aprire le fogne o, per restare in tema, far sì che le forze disordinate si gettino nel Mundus, facendo quindi cosa immonda. È agevolissimo osservare e fare il confronto per capire che – se non si è posseduti da forze infime – non è proprio quella la strada, né per rialzarci come europei, né per stare in ordine con l’anima e con lo spirito. Così l’antiamericanismo diventa solo una maschera del proprio disagio esistenziale e dell’odio, non verso la decadenza, ma verso la civiltà che ne è minata. Autolesionismo di frustrati, insomma, nutrito nel travisamento di alcune verità che forniscono un alibi, facile quanto privo di fondamento.

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