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Trent’anni di El Dorado

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Da tanto dura l’immigrazione

Con gli sbarchi tra il 1991 e il 1992 è iniziata la oramai trentennale storia dell’immigrazione verso l’Italia: da allora sono stati diversi gli eventi di cronaca e gli sconvolgimenti politici che hanno caratterizzato l’approccio a un fenomeno tanto complesso quanto difficile da interpretare.

Ottobre 1992: il primo sbarco di migranti a Lampedusa
Era l’ottobre del 1992 quando Lampedusa si è confrontata per la prima volta con il fenomeno degli sbarchi. In quell’occasione sull’isola maggiore delle Pelagie sono approdati 71 stranieri che si sono dichiarati tunisini. In realtà, la loro cittadinanza è rimasta per sempre ignota. Quando da Palermo è arrivato il console di Tunisi, nessuno ha realmente dimostrato di provenire dal Paese nordafricano a noi dirimpettaio. L’evento ha colto tutti impreparati, autorità politiche comprese. Il signor Andrea, cittadino lampedusano, oggi ha 60 anni e ha raccontato su InsideOver quegli attimi: “Ricordo ancora quando si è diffusa la notizia – ci dice – mi trovavo a fare la spesa e vedevo i miei concittadini agitarsi nel raccontare che era accaduto qualcosa di strano. Era arrivata gente scesa da un barcone, un evento allora impensabile. Momenti di confusione che nei primi attimi mi hanno disorientato”.
“Poi – prosegue il signor Andrea – ho capito cos’era successo e ho fatto la mia parte. Ho comprato alcune bottiglie di acqua e le ho consegnate a chi si occupava della raccolta. Non sono andato al porto ma ricordo che quello è stato per tutti un giorno carico di tensione e, nei giorni a seguire, il nostro pensiero era rivolto a come aiutare quelle persone”. I migranti sull’isola sono infatti rimasti per circa un mese. Ospitati dentro la caserma dei carabinieri, a provvedere al loro sostentamento sono state la parrocchia e la popolazione: “Non esisteva – racconta un poliziotto all’epoca in servizio a Lampedusa – un ufficio preposto alla gestione dell’accoglienza, era una novità per tutti, nessuno era pronto”. I migranti hanno lasciato l’Isola grazie ai biglietti della nave per Porto Empedocle acquistati con una colletta tra i lampedusani.

Gli sbarchi dall’Albania
Quello dei 71 migranti è stato per Lampedusa il primo sbarco, ma c’era chi, già nel 1991, in un’altra parte d’Italia, si era confrontato con il primo evento di questo tipo. L’8 agosto di quell’anno, a bordo della nave Vlora, sono approdati a Bari più di 20mila migranti. Partita da Durazzo, l’imbarcazione ha raggiunto il porto del capoluogo pugliese e, da allora, il fenomeno migratorio della rotta adriatica è diventato una costante per tutti gli anni ’90. Quello della Vlora è considerato il più grande sbarco di migranti a bordo di una sola nave. Attaccati gli uni agli altri, senza spazio e senza respiro, in molti, arrivati vicino al porto, hanno iniziato a tuffarsi in mare. Chi era lì racconta di immagini forti come in un film. Quando gli stranieri sono stati fatti scendere dall’imbarcazione, sul molo si è creato un tappeto umano. Gli albanesi sono rimasti nella zona portuale per alcuni giorni, poi sono stati trasferiti allo stadio. Per loro i baresi avevano raccolto vestiti e scarpe. Dopo il trasferimento in altre città italiane, per la maggior parte è stato disposto il rimpatrio.

25 aprile 1996: il primo naufragio documentato
La prima tragedia in mare di cui si ha documentazione risale al 25 aprile del 1996. Teatro del naufragio sono state le coste di Lampedusa. In questa occasione, 21 tunisini a bordo di una barca a motore sono annegati a causa delle avverse condizioni meteorologiche nei pressi dell’isola dei Conigli. L’imbarcazione, lunga 12 metri, era partita da Sfax. Dopo quasi 12 ore di navigazione era arrivata lungo il canale di Sicilia trovando il mare in tempesta. In prossimità di Lampedusa, a 500 metri dalle coste, i migranti, per non farsi notare, hanno deciso di affondare il mezzo. Le onde però hanno travolto anche loro. Solo in quattro, a nuoto, sono riusciti a raggiungere la costa ed essere salvati.
Questo naufragio non è stato l’unico di quell’anno. Alcuni mesi dopo, ovvero la notte del 25 dicembre, si è consumata la “tragedia di Natale” con la morte di circa 300 migranti tra pakistani, indiani e cingalesi Tamil. Gli stranieri erano a bordo di un mercantile in sosta tra Malta e la Sicilia in attesa di un’imbarcazione sulla quale sarebbero stati trasferiti per raggiungere Siracusa. Ma le acque agitate hanno provocato un grave incidente: durante il trasbordo, la nave madre ha speronato il barcone facendolo affondare nel giro di poco tempo con circa 300 persone a bordo.

La crisi del 1997 e la legge Turco-Napolitano
Le vicende relative all’immigrazione clandestina erano entrate oramai nel dibattito politico. Era arrivato il momento di contrastare il fenomeno tramite nuove leggi. La spinta verso una normativa specifica si è avuta soprattutto a seguito degli effetti della crisi in Albania del 1997. Già all’inizio degli anni ’90 il crollo del comunismo aveva portato a uno choc economico nel Paese. Negli anni successivi, la situazione è divenuta insostenibile e, proprio nel 1997,  migliaia di albanesi sono partiti verso l’Italia facendo registrare un fenomeno migratorio senza precedenti. La Puglia si è ritrovata assediata dai continui sbarchi. Una situazione che ha destato allarme: dopo il blocco navale voluto dal governo Prodi I, con la legge 6 marzo 1998, nota come legge Turco-Napolitano dai nomi del ministro alla Solidarietà Sociale Livia Turco e dell’allora ministro dell’Interno Giorgio Napolitano, è stata introdotta una legislazione per il superamento della fase di emergenza. L’intento è stato quello di restringere i flussi migratori consentendo di rimanere sul territorio italiano solo ai regolari. Per gli irregolari, è stato introdotto il centro di permanenza temporanea in attesa del loro rimpatrio.

Legge Bossi-Fini
Negli anni a seguire gli sbarchi hanno continuato ad essere una costante. Quelli dall’Albania verso la Puglia e quelli dall’Africa verso le coste siciliane. Non più eventi occasionali ma episodi con cadenza periodica al punto da rendere necessario un intervento legislativo che disciplinasse il fenomeno dell’immigrazione in modo più incisivo. La risposta è arrivata con la legge n. 189 del 30 luglio 2002, nota come legge Bossi-Fini dal nome dei primi firmatari Gianfranco Fini (vicepresidente del consiglio dei ministri nel governo Berlusconi) e Umberto Bossi (ministro per le Riforme Istituzionali e la Devoluzione). Entrata in vigore il 10 settembre di quello stesso anno, la legge disciplinava, tra le altre cose, le espulsioni con accompagnamento alla frontiera e l’inasprimento delle pene per i trafficanti di esseri umani. Pochi giorni dopo l’entrata in vigore della legge Bossi-Fini, l’attenzione dell’opinione pubblica è stata dirottata verso l’ennesima strage del mare. A mezzo miglio da Capo Rossello, in provincia di Agrigento, si è rovesciato un barcone con a bordo migranti liberiani. Circa una ventina i morti e 90 i superstiti. In quell’occasione i due scafisti sono stati individuati ed arrestati. Quella del 2002 è stata probabilmente la prima estate veramente calda sul fronte migratorio.

Giugno 2004: l’incidente della Cap Anamur
Il 20 giugno del 2004 si è avuta un’anticipazione del futuro braccio di ferro tra Ong e governo. Una nave dell’organizzazione tedesca Cap Anamur, nota in passato per le missioni di salvataggio di profughi vietnamiti in mare, ha soccorso tra la Libia e Lampedusa 37 migranti subsahariani. La nave aveva riparato il motore a Malta e, durante un giro di prova, si è imbattuta in questa missione. Dopo 21 giorni di attesa in mare, il natante ha ottenuto il permesso di attraccare nel porto di Porto Empedocle. Il governo italiano ne ha consentito l’ingresso dopo giorni di braccio di ferro nei quali contestava alla Cap Anamur di dover attraccare a Malta, dal momento che era entrata nelle acque di sua competenza. Per quanto concerne l’accoglienza dei migranti, l’Italia delegava la responsabilità alla Germania, visto che la nave era battente bandiera tedesca. Quando la nave è entrata a Porto Empedocle il presidente dell’associazione umanitaria Elias Bierdel, il comandante Vladimir Dachkevitce e il primo ufficiale della nave Stefan Schmdt sono stati arrestati in flagranza di reato con l’accusa di “favoreggiamento aggravato dell’immigrazione clandestina”. I 37 migranti sono stati invece rimpatriati fra il Ghana e la Nigeria.

L’immagine di Lampedusa come porta del Mediterraneo
Nel 2008, nel corso di una cerimonia tenuta a Lampedusa, è stata inaugurata una scultura destinata a diventare emblema del fenomeno migratorio nel Mediterraneo. Si tratta della cosiddetta “Porta d’Europa”, opera dell’artista Mimmo Paladino situata in quello che da molti è oramai considerato come il primo lembo del Vecchio Continente dopo il territorio africano. Al di là della simbologia applicata alla scultura, la sua apposizione ha testimoniato ancora una volta il clamore mediatico e sociale raggiunto dall’immigrazione.
Per frenare i flussi di barconi e gommoni il governo italiano, retto all’epoca da Berlusconi, ha siglato con la Libia il cosiddetto “trattato di amicizia”. L’accordo è stato stretto con l’allora rais libico Muammar Gheddafi: in cambio degli investimenti economici Roma ha chiesto il controllo delle coste per evitare nuove partenze. Ai libici sono state donate delle motovedette e la locale Guardia Costiera ha iniziato a respingere i migranti: “Per due anni almeno – ha confermato un residente di Lampedusa – di sbarchi ne abbiamo contati molto pochi, sembrava la fine di un lungo periodo”. Nel giugno del 2009 sono avvenuti anche dei respingimenti ad opera delle autorità italiane, giudicati però irregolari negli anni successivi. La porta del Mediterraneo ad ogni modo in quel momento è apparsa di colpo chiusa.

La crisi del 2011
La situazione però era destinata a cambiare. Tutto è partito nel gennaio 2011, quando in Tunisia le manifestazioni popolari hanno rovesciato il governo di Ben Alì. Crollato lo Stato, nessuno controllava più le coste. Un via libera generale che ha fatto riversare in mare migliaia di barconi. Nei mesi successivi a crollare è stata anche l’era di Muammar Gheddafi: il contagio delle cosiddette primavere arabe, quando è arrivato in Libia, ha coinciso con un drammatico aumento degli sbarchi. E del resto lo stesso rais lo aveva in qualche modo previsto: “Senza di me, milioni di africani andranno in Europa”, ha dichiarato in uno dei suoi ultimi discorsi prima dell’intervento della Nato.
La “pax” degli anni precedenti è durata poco. La tensione sociale derivante dalla massiccia ondata di migranti è esplosa in tutta la sua violenza ancora una volta a Lampedusa nel settembre di quell’anno. Quando è entrato in vigore un accordo tra Roma e Tunisi per il rimpatrio immediato dei tunisini, centinaia di loro hanno inscenato proteste sull’isola. Il centro di accoglienza è stato dato alle fiamme, per le vie del centro la Polizia, in tenuta antisommossa, ha dovuto caricare gruppi di migranti che minacciavano di far esplodere delle bombole del gas rubate da alcuni ristoranti. Gli isolani hanno reagito scendendo in piazza e chiedendo l’immediato trasferimento di chi era approdato. A vent’anni dal primo sbarco, le conseguenze sociali dell’immigrazione incontrollata si sono svelate sotto gli occhi di tutti.

La strage del 3 ottobre 2013
Il fenomeno migratorio è andato avanti a ritmi sostenuti anche dopo le primavere arabe. Ad alimentarlo, tra le altre cose, l’instabilità di una Libia piombata nell’anarchia dopo la fine di Gheddafi. Ad accendere ancora una volta i riflettori sui flussi è il naufragio del 3 ottobre 2013, rimasto nella storia per il suo importante clamore mediatico e per essere avvenuto a pochi mesi dalla storica visita di Papa Francesco a Lampedusa.
Teatro della tragedia, sempre le acque antistanti l’isola più grande delle Pelagie. Un momento di tensione tra i migranti generato da un principio di incendio a bordo di un barcone, ha provocato il ribaltamento del mezzo. Più di 300 persone sono annegate, pochi i superstiti. Una tragedia che ha avuto come conseguenza politica l’avvio, decretato dall’allora governo di Enrico Letta, dell’operazione “Mare Nostrum” per il pattugliamento delle coste.

Gli anni record del 2016 e del 2017
La falla libica ha avviato un flusso senza precedenti negli anni successivi alla strage del 3 ottobre. L’apice è stato toccato nel biennio 2016-2017: in questi 24 mesi, in Italia, sono arrivati circa 300.746 migranti, molti dei quali sbarcati tra Lampedusa e la Sicilia. Particolare rilevanza ha avuto, soprattutto nel 2017, il fenomeno degli sbarchi fantasma. Approdi cioè effettuati con piccoli barchini provenienti dalla Tunisia o dall’Algeria e in cui i migranti, subito dopo il loro arrivo, facevano perdere le tracce.
“Non passava giorno che qui in provincia di Agrigento – ha ricordato Claudio Lombardo, presidente di MareAmico Agrigento – nell’estate del 2017 non si annotavano sbarchi fantasma, di migliaia di migranti si sono perse le tracce”. Un fenomeno che ha destato preoccupazioni anche sul fronte terrorismo, con il procuratore della città dei templi, Luigi Patronaggio, che ha parlato di possibili infiltrazioni di jihadisti. L’esodo dall’Africa ha costretto l’allora governo guidato da Paolo Gentiloni a correre ai ripari. Nella primavera del 2017 l’Italia ha stretto un memorandum con la Libia per il controllo delle coste. Gli sbarchi sono progressivamente diminuiti, ma l’emergenza è comunque rimasta.

L’avvento delle Ong
Nel biennio nero dell’immigrazione c’è stata anche la comparsa delle organizzazioni non governative. Per la verità il primo teatro in cui le Ong hanno operato è quello del mar Egeo, durante la crisi della rotta balcanica tra il 2015 e il 2016. Successivamente il raggio d’azione di queste organizzazioni, dotate di navi con equipaggio al seguito, si è spostato nel Mediterraneo centrale. Da Medici Senza Frontiere a Save The Children, passando per Sea Watch, Sos Mediterranée, Open Arms e altre sorte negli anni successivi, le Ong hanno preso a bordo migliaia di migranti spesso poi fatti sbarcare in Italia. Obiettivo dichiarato degli attivisti è sempre stato quello di puntare su una politica europea dell’accoglienza. Un comportamento che ha destato non poco clamore politico. Nel 2017 il governo italiano ha diramato un codice di comportamento per le Ong al fine di evitare l’afflusso massiccio di migranti lungo le nostre coste.
Si è aperta così una stagione di scontro tra Roma e le Ong, il cui apice è stato raggiunto nell’estate del 2018 e del 2019, quelle dove a guidare il ministero dell’Interno era Matteo Salvini. In quei due anni sono state emanate norme volte ad evitare l’arrivo di migranti dalle navi degli attivisti. In alcuni casi sono stati ingaggiati dei duelli anche di carattere giudiziario.

Le preoccupazioni di oggi
I numeri del biennio 2016-2017 non sono stati più raggiunti. Nel 2019 i migranti sbarcati in Italia sono stati 11.471, cifre molto basse rispetto alle annate precedenti. Dal 2020 si sta assistendo a una ripresa che preoccupa e non poco, specialmente per le contingenze internazionali: la crisi in Libia non è stata mai risolta e la pandemia da coronavirus sviluppatasi l’anno scorso potrebbe aver dato ulteriore impulso al fenomeno migratorio. A livello politico l’Italia è impegnata nel chiedere maggiore solidarietà e nuove norme in ambito europeo, senza al momento precise risposte.

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