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Un anno di “operazione speciale”

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L’Ucraìna martoriata dalla tenaglia russoamericana contro l’Europa

 

Un anno fa le truppe russe invadevano l’Ucraìna battezzando la guerra come “operazione speciale”. Dettata, a quanto sostenne Mosca, dalla necessità d’impedire il genocidio di russofili nel Donbass.
Nessun genocidio, dato che in otto anni di guerra, in ambo i fronti c’erano state 14.000 perdite e che nell’ultimo biennio le vittime civili delle opposte artiglierie erano state settantasei.

Prima del 24 febbraio
Nei mesi precedenti Putin aveva progressivamente ammassato truppe alla frontiera e fatto lievitare i prezzi energetici. Biden aveva allora inviato delle forze sparute a manovrare, offrendo così ai russi il pretesto per l’invasione; non senza ripetere più volte che, se ci fosse stata la guerra, la Nato non sarebbe intervenuta. Parve un chiaro invito ad invadere.
Alla vigilia dell’aggresione militare, Putin aveva però affermato a Macron e Scholtz di essere favorevole alla loro soluzione pacifica che consisteva in tre punti: riconoscimento della Crimea russa, descalation e autonomia in Donbass (già in atto da due anni) e Ucraìna fuori dalla Nato.
Mentre Macron rivelava soddisfatto questo successo europeo che metteva in crisi la Nato, Putin lo colpiva alle spalle mancando alla parola data.

Congiura o convergenza
Che Putin non stesse cercando una soluzione ma fosse intenzionato all’invasione lo avevano anticipato da oltre un mese analisti di diverse intelligences (indiana, cinese, italiana) affermando che la guerra fosse stata concordata direttamente con Biden per una convergenza d’interessi. La convergenza d’interessi è oggettiva, la congiura russoamericana è forse tesi ardita anche se, nelle cose della vita, è l’oggettività che conta, non la soggettività.
L’accordo del luglio precedente tra Kiev e la Ue perché quest’ultima potesse utilizzare i metalli rari del Donbass non poteva garbare né a Washington né a Mosca.

Le due sconfitte di Mosca
Le iniziali mosse russe puntavano al cambio di regime in Ucraìna, infatti il primo obiettivo fu Kiev.
È plausibile che Putin avesse ricevuto rassicurazioni su di un golpe russofilo che si avviò a sostenere con l’occupazione dell’aeroporto della capitale e con l’invio in direzione di questa di truppe e carri armati, provenienti anche dalla frontiera bielorussa. Non ci fu nessun golpe, la battaglia dell’aeroporto fu vinta dagli ucraìni che, grazie ai missili Javelin, decimarono anche i carri armati russi. Il logistico venne disarticolato.
Respinti i russi dalla zona di Kiev, pure a costo di massacri subiti, quali quello di Bucha, la guerra si concentrò in Donbass e Novorossya.
La leggendaria difesa di Mariupol e l’epica riconquista di Kharkiv segnarono pagine di storia ucraìna.

Bakhmut
Dopo aver subito la seconda cocente sconfitta (Kharkiv dopo Kiev) ed essere stati costretti a battere nuovamente in ritirata, ora i russi stanno ammassando forze per una nuova offensiva nel Donbass. Tuttavia il piccolo snodo di Bakhmut, che invano il Cremlino afferma ogni giorno di aver riconquistato, resta in mani ucraìne.
Intanto si parla di estensione del conflitto, benché le offerte militari a Kyev siano molto limitate e gli “alleati” dei russi, iraniani a parte, abbiano solo venduto chiacchiere.

Biden e Putin un anno dopo

Tra lunedì e mercoledì scorso abbiamo avuto diritto a due performances da parte dei presidenti russo e americano. Biden, dopo essersi recato a Kyev, ha esortato da Varsavia i paesi dell’est europeo a fare sistema insieme, slegandosi così dall’ovest e di fatto dalla Ue.
Putin, oltre alle solite baggianate su complotti occidentali contro la Russia e deliri sul pericolo nazista, ha deciso di denunciare il trattato russo-americano New Start.
Il che, ci fa notare il sempre eccellente Paolo Mauri, si tradurrà eventualmente in una nuova “spinta verso la proliferazione di missili da crociera a lungo raggio basati a terra con testata nucleare dopo che già la fine del Trattato Inf (Intermediate Nuclear Forces) ne aveva rilanciato la produzione, nonché la reale possibilità che si ricostruiscano missili balistici a raggio medio e intermedio che erano spariti dagli arsenali di Russia e Stati Uniti (ma non della Cina) proprio per via dell’accordo sulle forze nucleari intermedie”.
Diciamo a Biden: chi ha nemici così non ha bisogno di amici. E agli europei: chi ha presunti amici così (gli americani) non ha bisogno di nemici.
O, per citare qualcun altro: “a pensar male si fa peccato, ma s’indovina quasi sempre”.

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