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Un autentico capolavoro

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La rielezione di Mattarella è stata preceduta dal discredito finale del Parlamento

 

Il modo in cui è stato rieletto Mattarella è stato un autentico capolavoro.
Non parlo della sua conferma ma del modo in cui si è realizzata e degli effetti che ha prodotto.
Draghi è il garante per l’arrivo dei fondi in Italia, perché possa continuare a esserlo passando da Palazzo Chigi al Quirinale, bisogna prima garantire un governo di unità nazionale stabile, ma al momento non c’è nessuno che possa sostituirlo. Potrà passare al Quirinale, con dimissioni di Mattarella, nella prossima legislatura quando – si presume – esisterà una maggioranza, comunque draghiana, con un premier/luogotenente di cui Draghi farà il garante internazionale acquisendo di fatto più poteri. Questo almeno è il disegno, e comportava per forza di cose una rielezione bulgara di Mattarella.
Ciò è chiaro non da oggi ma dal 13 febbraio dello scorso anno, quando Draghi divenne premier. Le elezioni presidenziali non sono giunte a sorpresa, tutti sapevano che si sarebbero svolte il 24 gennaio. C’erano 345 giorni per mettersi d’accordo sul solo risultato possibile, senza bisogno di dare per una settimana uno spettacolo così desolante e avvilente. Eppure è stato fatto così,  appositamente?

Il crollo e la frammentazione di Camere inutili
Da inizio pandemia, ancor prima dell’avvento di Draghi, il Parlamento è un entità assolutamente inutile che ha palesato sia la nullità dei suoi membri sia tutti gli impacci impostici dalla “Costituzione più bella del mondo” (sic!). I numerosi inquilini che stanno lì a prendere disposizioni, ché altro non sanno fare, sperano ancora che, finita l’emergenza in cui altri decidono per loro, tutto tornerà come prima e in molti s’illudono ancora di poter usufruire nei modi più disinvolti del Recovery Fund, ovvero barando.
Per neutralizzarli li hanno così lasciati a briglie sciolte sotto i riflettori. Per la prima volta dopo due anni le Camere potevano decidere da sole.  Senza guida i nostri eroi hanno dimostrato la loro  inconcludenza, l’incapacità di fare programmi e perfino di stringere alleanze. Per cinque giorni si è dimostrata l’immaturità e l’inadeguatezza del Parlamento, confermando così che non potrà più essere centrale.
Centrato questo primo obiettivo ne sono stati perseguiti altri. Conte e Salvini sono crollati nel ridicolo, trascinando con loro nell’abisso ogni ricordo di populismo cialtrone.
Poi è stato fatto venire a galla l’intero centrodestra che ha dimostrato non tanto quello che sostiene la Meloni, ovvero la mancanza di convinzione nei propri mezzi, ma anche che i suoi leaders non conoscono la matematica perché non avevano una maggioranza e non si sa con che logica abbiano provato a partorire questo o quel re bastone.
Solo il Pd, forse perché informato previamente, è riuscito a tenersi fuori da queste figuracce.
Finita la ricreazione è arrivata infine la disposizione, sicché l’obiettivo logico è stato raggiunto, ma solo dopo che erano stati inferti colpi mortali all’immagine dei parlamentari.

Dopo il Parlamento
Il problema è che il Parlamento non ha più alcuna ragione d’essere.
Non rappresenta  più da decenni le corporazioni. Esprime invece consociativismi e interessi frazionati e lobbistici che sono stati a lungo segmentati e lottizzati in aree ideologiche.
Da tempo ormai la politica è però in ritardo sulla realtà sia dal punto di vista programmatico che da quello ideologico, scaduto in vuote frasi fatte. Gli interessi sono gestiti più a livello amministrativo che in Parlamento, laddove i politici sono divenuti degli anchormen e dei cantafilastrocche che devono delegare le decisioni ad altri oggettivamente (ovvero a prescindere dalle singole, generalmente scarsissime, qualità). È tutto un mercimonio fatto di slogans per compiacere emotivamente questo o quel target che con il suo consenso consenta a tizio e a caio di occupare degli scranni che sono ormai solo da riscaldare.
Lo stato d’emergenza ha dimostrato inequivocabilmente l’insignificanza del Parlamento oggi; la trappola in cui i politici sono caduti nelle elezioni presidenziali ne ha confermato il non senso e l’inutilità.
È tempo d’ideare e di declinare una nuova forma partecipativa post-democratica perché l’alternativa che resta è l’eternizzazione della tirannia tecnocratica che, nel confronto col parlamentarismo, stravince.
La cosa è così evidente a tutti che nell’elezione parlamentare suppletiva di Gualtieri, divenuto ahimé sindaco di Roma, si è recato alle urne solo l’11,33% degli elettori.
Cambiare pagina e racconto quanto prima! Non di certo con il ritornello della restituzione di dignità al Parlamento, perché, ammesso che ne abbia mai avuta una, non c’entra assolutamente nulla con l’evoluzione delle cose. Partiti e Camere sono oggi residui del passato.

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