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Un Berlusconi in versione cardinalizia

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Due milioni e settecentomila preferenze: così attrezzato il premier parte per gli scontri interni. Per quelli esterni si è improvvisato Richelieu?

Ho dovuto fare tutto da me, come al solito ho tirato la carretta da solo. Se non fossi sceso in campo io l’affluenza sarebbe stata ancora più bassa. È anche per mio merito che l’Italia si conferma il primo Paese per percentuale di votanti: con il record di elettori e di consensi il mio governo si conferma il più forte d’Europa”. Così Berlusconi che avrebbe anche annunciato: “Se i risultati non saranno all’altezza, nel partito dovranno cambiare molte cose”.

Va tenuto conto che il premier parla dall’alto di un notevole risultato plebiscitario, oltre due milioni e settecentomila preferenze raccolte – un’enormità – e potendo chiaramente dimostrare che dove il Pdl cede alla Lega ciò avviene a causa di Fini.

Ha anche affermato, Berlusconi, di avere “i poteri forti nuovamente contro”.

Tutto questo lascia pensare a qualche svolta interna con tanto di teste che cadranno.

E fa anche riflettere sul perché abbia sparato così grosso alla vigilia, indicando score impossibili. Un attacco di megalomania? Può darsi ma se vogliamo malignare è stato proprio il premier con i suoi “pronostici” della vigilia a fornire fin dallo scrutinio un salvagente a Franceschini che può così insperatamente contrabbandare la sua disfatta come un ‘contenimento’.

Considerato che la corte a Casini è partita in maniera sfrontata e che nell’Udc non hanno imbarazzo a mostrare quanto la gradiscano, potremmo anche leggere la gestione del dato elettorale in chiave di smembramento del fronte dei lacché dei “poteri forti”. In un colpo solo, trasformando il successo elettorale in un’avanzata mancata, Berlusconi si protegge infatti così a sinistra dall’entrata in campo di D’Alema che viene neutralizzata proprio dalla teoria del ‘contenimento’ suggerita dal premier e al contempo ha argomenti da utilizzare contro Fini. La banda degli oligarchi sembra non saldarsi ma, come i Curiazi, i suoi paladini si trovano a poter essere affrontati ognuno separatamente. Salta l’occasione della “necessità dello stato d’urgenza” e Di Pietro si può ritrovare di colpo a remare da solo e a rischio, per la sua spiccata vanità, di cedere a un eccesso di megalomania.

Se questa chiave di lettura ha un qualche fondamento, Berlusconi utilizzerà l’analisi del voto in chiave di pulizia interna. Va rammentato che il suo quarto esecutivo, a forte caratterizzazione craxiana, non presenta personaggi legati organicamente ai poteri forti, a differenza di quanto accadeva negli altri suoi governi. Il terzo, ad esempio, contava Fini, Martino e Pisanu. Ma oltreoceano hanno altre gatte da pelare e il momento è propizio per fare qualcosa in autonomia, sia ad est che a sud nel quadro geopolitico, sia nella geografia interna con tanto di smantellamento o di ridimensionamento di filtri e clan.

Berlusconi poteva cantar vittoria, sarebbe stato facile e motivato: il Pdl è arrivato primo in tutte le circosrizioni delle europee e per esempio in Abruzzo, che è simbolico e significativo, raccoglie addirittura il doppio del Pd. Anziché puntare a gioire avrebbe scelto per astuto calcolo predeterminato di trasformare la lettura politica in uno spunto per fare pulizia e ottenere mani più libere?

E’ solo un’ipotesi azzardata ma non si può escludere categoricamente e ancor meno negarne il fondamento. Specie se si considera che la prova delle amministrative dà al premier vento in poppa e benzina nel motore offrendogli la forza per andare agguerrito al regolamento dei conti.

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