venerdì 19 Luglio 2024

Un rapporto a metà

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Chiesa e Rsi 1943-1945, Jacopo Barbarito, Bonanno editore, 16 euro


Jacopo Barbarito è uno storico giovanissimo.
Chi leggesse il suo secondo libro, edito da pochi mesi dalla Bonanno, non potrebbe minimamente immaginare che ha solo venticinque anni, tante sono la professionalità, l’attività documentale, la chiarezza d’esposizione e l’obiettività di cui in esso dà mostra.
Il tema, i rapporti tra Chiesa e Rsi, è di quelli particolarmente delicati che accendono passioni spesso cieche. E’ sempre stato così, ma nell’ultimo quarto di secolo si toccano dei nervi particolarmente scoperti in quanto c’è stata immissione nella destra terminale postfascista di ambienti integralisti, controrivoluzionari e neoguelfi.
Quest’immissione da un lato ha imposto riletture improprie del passato con una sorta di chirichettizzazione artificiosa delle cause nazionali d’antan, dall’altro ha scatenato reazioni veementemente anticlericali e talvolta antireligiose dando così via a un derby tra mangiapreti e baciapile che par rendere impossibile un’impostazione corretta e disincantata del tema.
Jacopo Barbarito invece ci è riuscito appieno nell’impresa di fornirla.

Il tema centrale tratta del biennio dell’Onore e dell’atteggiamento tenutovi dal Vaticano che fu sostanzialmente ostile alla Rsi la quale, né più né meno di quanto era avvenuto pochi anni prima all’Action Française, si sentì tradita e visse questo tradimento come una tragedia.
Le aperture diplomatiche agli invasori che bombardavano, saccheggiavano e stupravano, si sommarono alla beffa del non riconoscimento della Repubblica da parte papale; un non riconoscimento sottolineato dalla disponibilità di trattare, sia pure in maniera più scostante che non rispetto agli invasori, con le autorità tedesche, rifiutando invece sempre di riconoscere quelle italiane. E contribuendo così, de iure et de facto, a delegittimare i combattenti dell’unico Stato nazionale, tanto da aiutare a renderli preda delle rappresaglie come se si fosse trattato d’irregolari.

Questa scelta così radicale e ostile avvenuta a pochi anni dalla crociata contro il bolscevismo in Spagna e a pochi mesi da quella in Russia sbalordì non pochi e probabilmente influì anche sulle motivazioni di molti italiani.
Essa fu accompagnata, sul terreno, da prese di posizione contrastanti che videro la presenza tanto di cappellani militari quanto di preti partigiani; che produssero sacerdoti che rifiutavano i sacramenti ai fascisti condannati a morte o che lasciavano i cecchini partigiani usare il campanile, come prelati che credevano in un fascismo guelfo e che si spesero fino a pagare con la vita, quale fu il caso di  Don Calcagno.

Il pregio di Barbarito è duplice, in quanto non soltanto la sua esposizione è chiara, articolata e oggettiva, ma perché, con l’ausilio di una parte introduttiva che va dai Patti Lateranensi al dramma del Gran Consiglio, riesce a delineare quello che è stato il fil rouge del rapporto tra Chiesa e Stato fascista e del grande equivoco che ne è alla base.
Equivoco perché le priorità valoriali, esistenziali e, dunque, politiche, dei due soggetti non coincidono se non saltuariamente.
In pratica si è riprodotto durante il Ventennio il medesimo schema dell’Evo Medio e della primavera ghibellina, con le concezioni di Papato e Impero che di fatto divergono.
La concezione dantesca dei Due Soli è ghibellina (anche se per via delle repressioni politiche l’Alighieri era ufficialmente un guelfo bianco, egli era a pieno titolo e ad alto livello inserito nella compagine imperiale).
Ghibellino è l’auspicio di una coesistenza complementare e rispettosa, guelfa invece è l’ottica di Una Luna e di una terra che le è incondizionatamente sottomessa.
Tanto l’Action Française, quanto i Cristeros in Messico, quanto infine i fascisti in Repubblica, che pur si battevano contro i massacratori del clero e contro coloro che stavano estendendo le influenze politico-religiose di centrali veterotestamentarie ostili a San Pietro, furono sacrificati senza indugio dal verbo guelfo e ne soffrirono soprattutto perché non ne compresero la ragione intrinseca e profonda.

Queste ultime considerazioni ovviamente non sono state scritte esplicitamente da Jacopo Barbarito, perché altrimenti parleremmo di un saggio o di un pamphlet;  si evincono invece dai documenti, dagli interventi, dagli stati d’animo registrati.
Una lettura arricchente e stimolante che potrebbe  aiutarci ad uscire dalle polemiche scatenatesi negli ultimi tempi, invitandoci a cogliere il nocciolo della questione e a comprendere che “ad ognuno il suo” non è frase priva di significato; che si commette un errore madornale quando, con amore o con astio, con attrazione o con repulsione, si prova a mescolare oltremodo quanto ha natura propria e risponde a logiche mai completamente sovrapponibili.

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