Il Cai non autocelebra, riparte
Un secolo e mezzo in salita. «Le montagne sono cerniere, non barriere» avverte il Cai alle porte dell’anno – il 2013 – della grande festa. E «questo messaggio sarà riportato su tutti i materiali e gli strumenti di comunicazione e accompagnerà ogni singola iniziativa»: è la parola d’ordine delle migliaia di appuntamenti in cantiere nelle 490 sezioni (e oltre 300 sottosezioni) che, dalle Alpi alla Sicilia, uniscono in una cordata ideale oltre 320 mila soci (in costante aumento: sono circa 20 mila in più rispetto a 10 anni fa). «Nessuna autocelebrazione: invece, ripartenza», dice da Bassano, la sua città, Umberto Martini, 66 anni, venticinquesimo presidente generale del Cai, che ha avuto la sua prima tessera nel 1967. Ripartenza? «Certo, esattamente dall’agosto 1863». Il 12 di quel mese il ministro delle Finanze Quintino Sella con i piemontesi Paolo e Giacinto Ballada di Saint-Robert e con il deputato calabrese Giovanni Barracco arrivò in vetta al Monviso, 3.841 metri: fatta l’unità del Paese da due anni, anche questa prima ascensione «nazionale» doveva servire a fare gli italiani. Proprio come il Club Alpino che, nato di fatto quel giorno, ebbe poi il suo battesimo formale il 23 ottobre a Torino, al Valentino: circa duecento i soci, presidente il barone Ferdinando Perrone di San Martino, Quintino Sella come grande animatore. Tanto che dieci anni dopo, quando (sempre da ministro) si trasferirà a Roma nel frattempo diventata capitale, ne fonderà una sezione anche in riva al Tevere.
Ancora un anno e, datata 1874, dal Museo della montagna (nella grande casa torinese dell’alpinismo al Monte dei Cappuccini, dove il Cai ha anche la sua Biblioteca Nazionale) ecco un’altra immagine storica: il fotografo Vittorio Besso ferma l’«escursione alle sorgenti del Po in occasione del VII Congresso degli alpinisti italiani». Le adunate secessioniste con fazzoletti verdi e ampolle sono di là da venire; nei toni del color seppia parla un alpinismo rigorosamente unitario, tutti in giacchetta e cappello, qualcuno con il panciotto, nel gruppo anche gli strumentisti con fiati e legni. «E proprio questa è la nostra storia – dice Martini. – Prima associazione nazionale a nascere, e sempre in cammino sul passo delle vicende italiane. Ripartiamo per almeno altri 150 anni di storia nel cuore del nostro Paese, con almeno 30 mila soci giovani». I giovani e (ancora Quintino Sella) «la lotta coll’Alpe»? Può funzionare ancora? «Saranno cambiati gli scenari, d’accordo. Ma se oggi parliamo di fatica, della capacità di rinunciare senza sentirsi diminuiti, di difficoltà da affrontare insieme, di che cosa parliamo? Di una parete da salire o di una qualsiasi giornata italiana dalle Alpi all’Etna?». Parliamo del Paese, quindi: «Ci sono le piccole sezioni di montagna, quelle legate al loro territorio. E ci sono quelle più popolose, di città: significano attività con ragazzi, seniores, con disabili. Significano una rete di sentieri che unisce valli e fa bene al territorio». La parola «salvaguardia», detta lassù, ha più di un significato: «Intanto è salvaguardia del patrimonio della montagna, ma anche della pianura: a cominciare dall’acqua». E poi c’è la scommessa della vita in montagna, dello «sviluppo possibile, per viverci bene, trovare soluzioni intelligenti, sostenibili, aperte al turismo ma – per esempio – non ai luna park in quota».
Presidente Martini, la sua montagna del cuore? «Il Monte Grappa, vicino a casa mia, la salita dell’infanzia, con i genitori e gli amici». Al sacrario degli alpini, in un altro capitolo della storia dell’Italia unita.