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Un serbo assassinato al giorno

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E i monumenti sono ai torturatori. Proprio come qui dopo il ’45 ma lì c’è ancora il triangolo della morte

‘Diario dal Kosovo’, Gianluca Iannone racconta la missione de l’Uomo libero onlus e di CasaPound Italia nella ex Jugoslavia

III puntata, l’enclave di Osojane

Siamo appena tornati in albergo. Sono le 19 passate da una ventina di minuti e la stanchezza della giornata inizia a farsi sentire. Questa mattina siamo partiti subito dopo colazione e ci siamo diretti verso l’enclave di Osojane. Sul furgoncino messoci a disposizione dal ministero di Kosovo e Metochia siamo noi quattro, Sasja – l’interprete -, l’autista e un funzionario del governo serbo addetto al controllo e al sostentamento di queste zone.
Percorriamo la strada – obbligata – che congiunge Mitroviska con Pec. E’ una strada particolare perché fu lungo questa statale che Adem Jasari, il capo della rivolta albanese, iniziò la sua sanguinosa carriera nel 1995, assassinando civili e militari serbi di passaggio. Nel 1999 i serbi costrinsero Adem Jasari ad asserragliarsi nel suo “castello” e lì lo uccisero insieme a 30 fedelissimi ma questo non bastò a interrompere la mattanza: la via ha continuato a macchiarsi di sangue fino al 2005. A quanto riferitoci dalle autorità serbe nei 10 anni che vanno dal 1995 al 2005 su questa strada maledetta sono stati assassinati in media oltre 300 serbi in uniforme all’anno. Una statistica agghiacciante: quasi una vittima al giorno senza che per questo nessuno abbia mai pagato.
Mentre ci raccontano questa storia sulla destra spunta un monumento commemorativo dell’Uck con tanto di 9 tombe di 9 “martiri” della rivoluzione albanese-kosovara. Qua siamo già in territorio “albanese” e queste cose sono più che frequenti. Mentre ripartiamo e do un’ultima occhiata all’immagine di Adem Jasari raffigurato come il padre della nuova nazione mi torna in mente un film holliwodiano di qualche anno fa, di qualche anno prima della guerra del Kosovo. E, come spesso succede nella strategia della comunicazione politica Usa imbevuta di poteri forti e segnali criptici, mi rendo conto di come tutto fosse già stato scritto prima che avvenisse.
Chi ha visto “Sesso & potere” non può non rendersi conto di ciò che parlo: il presidente degli Stati Uniti inciampa in uno scandalo sessuale per una notte di sesso sfrenato con una stagista. Stagista che viene anche ripresa con il presidente in un incontro pubblico… Vi ricorda qualcosa? Per distrarre l’attenzione da questa situazione si organizza a tavolino una guerra dall’altra parte del mondo, con tanto di guerriglieri per la libertà e popoli oppressi dal tiranno di turno. A ripensarci adesso, a quel film, mi scappa un sorriso amaro e un brivido lungo la schiena.

Dopo un bel po’ di strada arriviamo a Osojane, enclave serba nel distretto della città di Istok.
Il villaggio di Osojane nel 1999 fu distrutto dagli albanesi: nel 2001 i serbi hanno cominciato la ricostruzione. Qui ci sono 300 famiglie serbe ortodosse circondate da 30.000 albanesi. Appena imbocchiamo la strada principale arriva lenta e minacciosa come uno squalo la macchina della polizia. Ci si affianca. Gli agenti a bordo con la bocca storta e gli occhi fissi ci fanno delle domande senza scendere, dopodiché si girano e se ne vanno. Sono poliziotti albanesi, come tutta la polizia qua è albanese. Solo a Mitroviska, dove siamo in albergo, c’è anche la polizia serba.
“State in albergo a Mitroviska?”, ci chiede il sindaco di Osojane. ”Un mese fa – spiega – gli albanesi hanno attaccato con le bombe a mano un gruppo di civili serbi uccidendo il pediatra serbo più famoso e facendo 11 feriti”. Non è facile per niente stare qua ed essere sottoposti a tutti i tipi di angherie possibili. Perchè là dove non arriva la violenza, che è continua e costante – come 10 giorni fa quando è stato attaccato un piccolo nucleo di case a Zac, a due chilometri da qua, che poi visiteremo, arrivano i dispetti di pessimo gusto. Tipo il taglio della corrente in pieno inverno. Anche per le scuole. Anche per gli ospedali. Ed è per questo che siamo qua: per vedere cosa effettivamente serve e cosa possiamo concretamente fare noi altri.
Le cose da fare sono davvero tante e ne parliamo per pù di un’ora con il sindaco di Osojane e il preside della scuola. In questa enclave ci sono cinquanta ragazzzi dai 6 ai 14 anni divisi in 8 classi. All’interno della scuola ci sono un campo di pallacanestro, delle giostre e una micro palestra con un logoro tavolo da ping pong. Dall’Italia vedremo di far arrivare dei computer, del materiale didattico,
Il sindaco si chiama Dragoljub Repanovic ed è il capo della comunità serba del Comune di Istok e del distretto di Osojane. Istok è una città con due sindaci: uno è albanese ed è quello ufficiale, l’altro è lui, perché da Istok i serbi sono stati cacciati nel 1999. E’ un tipo cordiale e simpatico. Parla a voce bassa nel suo ufficio spoglio e ci offre, per combattere il grande freddo che c’è qua, della racchia, la grappa tipica locale.
Con Zoran Gargovic, preside della scuola di Osojane, abbiamo stabilito l’installazione del generatore di corrente elettrico e gli aiuti per l’stituto. Con lui vedremo di collaborare alla realizzazione di una serra per la coltivazione di fragole, progetto nel quale lui crede molto e che potrebbe essere di grande aiuto in questo posto. Ci regala dei calendari, dei taccuini con il simbolo della sua città scippata e ci offre altra racchia. Buttiamo giù, e mentre ci avviamo verso il furgone per ripartire alla volta di Pec incontriamo una pattuglia della K-for italiana.
Il maresciallo di prima è di Pesaro e il caporal maggiore che lo accompagna è di Salerno.
Sono sereni, e ci dicono che la situazione rispetto a prima è migliorata. “Diciamo che i serbi si devono abituare al nuovo corso”, ci spiega il maresciallo. Vorrei dirgli “e tu ti ci abitueresti?” ma lascio perdere, tanto non serve.
Facciamo gli auguri e ripartiamo. Incontriamo Zac, il piccolissimo centro di case a due chilometri da Osojane assaltato dieci giorni fa. Sui muri delle case ci sono i colpi dei fucili sparati quella notte. Ci sono operai che continuano a lavorare e a gettare le fondamenta per nuove case serbe… Sapete da cosa potete riconoscere una casa serba da una albanese?
Dalla grandezza: le case serbe sono piccolissime, sono per piccoli nuclei familiari, quelle albanesi sono enormi. hanno 3/4 piani.
Qua la K-for di guardia è romena. Un maresciallo col colbacco ci dice che non vuole essere fotografato. Poi scende dall’hummer e si mette a parlare con noi. “Vedete quel vecchietto là?”. Ci giriamo e vediamo un vecchietto tutto ricurvo su se stesso che cammina verso casa. “E’ stato aggredito da un gruppo di albanesi l’altra notte, sotto casa sua. Non ce li vogliono qua i serbi, li vogliono cacciare a tutti i costi. Sparano, lanciano colpi di mortaio e spesso arrivano e distruggono le fondamenta dlele case in costruzione”. “Cazzo quell’uomo peserà 45 chili e avrà 70 anni suonati, come si fa a fare una cosa del genere?”. “Qua funziona così”. Dobbiamo andare a Pec adesso, e salutiamo. Facciamo la foto col maresciallo che ha preso confidenza con noi e ripartiamo al volo.

Quando mi risveglio dal trasferimento a Pec mi trovo davanti uno dei monasteri più belli del mondo. Incastrato tra le montagne e con un fiume accanto, il monastero di Pec è la sede del patriarcato della chiesa ortodossa serba. Nel suo cortile c’è un albero di 800 anni e la costruzione del monastero risale al quattordicesimo secolo. In stile romanico, riconosco negli affreschi l’origine fondativa dei grandi re che hanno fatto divenire la Serbia una grande nazione.
La classica iconografia ortodossa con la narrazione della discesa dello Spirito Santo è onnipresente. La chiesa all’interno è dedicata ai santi apostoli. Questo monastero fu bruciato nel 1981 dagli albanesi, ma i danni sono stati tutti recuperati dopo anni di attenta ristrutturazione. La serenità, la pace che si respira è surreale. Mi ricordo del posto dove sono solo quando esco e incrocio tre ragazzi in mimetica. Sono italiani. La guida, Sasha, mi dice che gli italiani qua sono ben accetti anche perché nel 1941 il Duce inviò oldati a tutela del posto.
Risaliamo sul furgone, passiamo davanti al villaggio Italia, l’enorme campo base degli italiani in missione qui, e andiamo spediti verso il monastero di Decani. Il monastero venne fondato da Re Stefano Uros III Dekanski nel quattordicesimo secolo. Questo luogo monastico riunisce le esperienze architettoniche romaniche, gotiche e bizantine: gli abili mastri di Cattaro diedero vita ad una creazione originale, sia nel progetto che nella costruzione e nella decorazione. La cattedrale di Decani contiene il più lussuoso e più ricco ornamento scultoreo dell’arte medievale serba, nonchè la più grande galleria di affreschi medievali.

Arriviamo alle 15 e veniamo accolti dai monaci ortodossi con le loro folte barbe, i loro abiti neri e i loro cordiali sorrisi. Ci offrono uno dei pranzi più buoni che il sottoscritto abbia mai avuto il piacere di assaporare. Padre Teodoro ci accompagna nella sala dove è imbandito il pranzo in nostro onore: zuppa di funghi, involtini di verza con carote e riso, verze bollite, peperoni rossi, insalata russa, merluzzo alla piastra, olive nere, vino rosso e strudel. Tutto prodotto da loro e tutto squisito.

Ripartiti verso Mitroviska Sasha ci sorride e ci dice che è contento di averci conosciuto e di aver passato questa giornata con noi. Lui è di Mitroviska sud. Nella sua casa natale ora ci sta un miliziano dlel’Uck e lui si è dovuto trasferire nella parte nord della città, dove noi ci troviamo in albergo. Ha gli occhi sorridenti nonostante i segni del tempo e del dolore accumulato in questi anni. E’ più giovane di me di due anni ma sembra molto più grande. Quando torniamo in albergo mi chiede per quale squadra tifo e poi mi dice che Milos Krasic è di questa città e gioca nella Juventus.
Come per dire, lui nonostante tutto ce l’ha fatta.

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