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Un uomo di stile

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Ci dice addio un altro grande dell’Italia che stanno seppellendo

 

 E’ morto Ottavio Missoni. Missione… esule 

Ottavio la chiama “la piccola differenza”, la differenza tra l’essere liberati dagli americani piuttosto che dai comunisti di Tito: Il grande stilista italiano simbolo degli esuli di Zara odia la retorica e salta a piè pari le domande sul dolore, come quando si batteva nei 400 ostacoli alle Olimpiadi (23 volte la maglia azzurra: la finale olimpica negli ostacoli a Londra, nel 1948). Usa la lingua per colpire il nemico invisibile scagliandola come quel giavellotto che faceva mulinare negli stadi di tutto il mondo. Missoni, triestino d’adozione, nasce a Ragusa (oggi Dubrovnik) da padre capitano di lungo corso e da madre Veneta, della antica casata dei conti de’Didovich, che scelsero la cittadinanza italiana quando il territorio fu assegnato all’Italia dopo il trattato di Rapallo del novembre 1920. Quando cresciuto ebbe la necessità di frequentare le scuole superiori la famiglia si trasferì a Zara, dove la scelta era maggiore (successe anche a Enzo Bettiza spalatino). A vent’anni, alla fine del ’41, Ottavio, già buon atleta, partì per il servizio militare col grado di caporale di fanteria, e dopo un breve addestramento fu inviato in Africa, dove partecipò alla battaglia di El Alamein. Fatto prigioniero dagli Inglesi e non “collaborativo”, fu rinchiuso in un campo “di rieducazione” dove restò fino al ’46.

Cosi dice lui:“Che cosa intendessero per “rieducazione” non l’ho capito: il fatto è che hanno scippato 4 anni della mia vita relegandomi nell’inattività. Passavo il tempo a leggere e a riflettere, su me, sulla vita, sul futuro”. 

“La mia famiglia si era intanto trasferita nella zona -A- di Trieste, l’unica rimasta italiana: quando li riabbracciai mi parvero mutati, soprattutto di dentro, come marchiati a fuoco dagli orrori cui avevano assistito. Da parte mia non avevo vissuto in prima persona i momenti drammatici e le sofferenze dell’esodo, né avevo patito l’odio feroce contro noi Italiani: tuttavia il racconto dei superstiti, la loro umiliazione, lo sfacelo che mi circondava, mi hanno risucchiato nel dolore comune che è diventato anche mio. 
Soprattutto mi ha indignato la colpevole debolezza di chi avrebbe avuto il dovere di difendere i nostri diritti, e invece ha accettato supinamente il nostro annullamento”. 

Ottavio riprende gli allenamenti e già nel 47 è campione nei 400 ostacoli. “Quei traguardi raggiunti con determinazione assunsero per me il sapore della rivalsa, come se avessi gareggiato a nome della mia gente, dei sopravvissuti e degli innocenti massacrati. A Londra si delineò il mio futuro: tra gli spettatori c’era una sedicenne che le monache con cui studiava avevano condotto ad assistere alle gare: era Rosita, una ragazzina dai grandi occhi colmi di sogni, che nel ‘53 divenne mia moglie”. Di far maglie e indumenti non toccò a lui decidere, poiché i genitori avevano già avviato una piccola produzione, ma di portarla ai vertici mondiali questo si sa è merito suo. Oggi i suoi modelli sono esposti perfino nei grandi musei di tutto il mondo, come il “Metropolitan Museum of Art” di New York” 

 

 

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