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Una nazione in disarmo

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La lezione cocente della Maddalena

 

Missili, razzi anticarro e katiuscia, kalashnikov e noir alla Maddalena. Dopo le indagini avviate dalla magistratura di Tempio, in queste ore arriva un’altra richiesta di chiarimenti politici. L’inchiesta riguarda l’ingente trasporto di armi dall’isola di Santo Stefano con prima destinazione Civitavecchia, e poi verso un’altra destinazione: il nulla.

 

 

Le gallerie-bunker della Marina militare scavate nell’isola di Santo Stefano, arcipelago della Maddalena erano piene di armi, talmente tante da bastare ad un intero esercito. Le armi erano partite dall’ex Unione Sovietica, per arrivare nei Balcani durante il periodo di guerra, nel 1994, ma furono  intercettate su una nave nel Canale d’Otranto e sequestrate. Il Tribunale di Torino ne aveva ordinato la distruzione, invece due mesi fa le armi sono state portate via dal bunker, consegnate dalla Marina all’Esercito. Adesso la magistratura di Tempio, che tentava di capire il mistero, formulando ipotesi del tipo: “finite in Libia e in Afghanistan?”, si ritrova  davanti al muro del segreto di Stato: “La presidenza del Consiglio ha imposto l’alt a ogni accertamento sulla destinazione finale delle armi”.

Inizialmente il mistero puntava all’Est Europa, una sorta di intrigo internazionale: “trame da 007 fra Ucraina e Croazia, soffiate ai servizi di sicurezza di Gran Bretagna e Italia, i fili del traffico manovrati da una rete di uomini d’affari dei Paesi dell’Est, in carcere anche uno degli oligarchi della nuova Russia, Alexander Borisovich Zhukov”.

Ma il giallo si infittisce, e dei 4 container, scortati da mezzi dell’Esercito, imbarcati su un traghetto della compagnia Saremar dalla Maddalena a Palau e poi da Olbia su una nave della Tirrenia (con oltre 600 passeggeri a bordo) non si sa più nulla.

La trama internazionale venne ipotizzata dalla direzione antimafia, in Piemonte, poiché la stessa aveva scoperto un enorme giro d’affari di due società fantasma che conduceva al manager ucraino Dmitri Streslinky, amministratore di Sintez e Global Tecnology, holding di finanza e petrolio controllate da Alexander Zhukov. Zhukov, nipote del maresciallo Giorgij, capo dell’Armata rossa nella Seconda guerra mondiale, e padre di Dasha, compagna di un altro oligarca, Roman Abramovic, è stato il solo arrestato a Porto Cervo, nell’aprile 2001.

Ma nessuno scalo in porti italiani venne mai accertato, e fu anche dichiarato dal comandante della Jadran facendo così cadere ipotesi e accuse di traffico d’armi estero su estero, il difetto di giurisdizione, tanto che Zhukov e gli altri 8 furono assolti, e venne ordinato di distruggere le armi.

L’inchiesta del pm di Tempio, Riccardo Rossi, riparte da qui con una serie di domande che sembrano la trama di un film di 007: perché le armi invece che essere distrutte sono state portate via? Chi le ha prese? Nel bunker quante armi ci sono ancora? Il fitto mistero era vicino ad una soluzione, con i primi riscontri in Parlamento, e con le interrogazioni dei pd Gian Piero Scanu e Giulio Calvisi e dell’idv Elio Lanutti. Ma oggi, arriva il segreto di Stato, cosa  che il governo compie soltanto in casi del tutto eccezionali.

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