Sessantacinque anni, un mestiere, tanta volontà ma vive in una cabina per fototessere
Vive, da un anno e mezzo, dentro una cabina per fototessere. Ci dorme. Per Giovanni Di Donato, sessantacinque anni, imbianchino in cerca di lavoro, quella ormai è la sua camera da letto. Si rannicchia lì tutte le sere, ma solo dopo le due di notte. “Non ci va prima perché si vergogna…” racconta chi ormai nella zona ha imparato a conoscerlo. E così quando il bar di fronte alla cabina – e dal nome beffardo “Grande Italia” – chiude, quando spariscono tavolini, clienti e camerieri, lui saluta tutti e fa finta di andare nella casa che non ha più. Fa finta di tornare nella dimora che ha dovuto lasciare per motivi economici: la stanza in una pensione divenuta troppo onerosa, a causa di un lavoro che a volte c’è, e a volte no.
Così l’anziano imbianchino, da un anno e mezzo, tutte le notti, curandosi di non farsi notare da nessuno, s’infila nella cabina sotto i portici di piazza Martiri. E proprio quel bar di fronte alla sua assurda “camera da letto”, per Giovanni Di Donato è diventato con il tempo tutto il resto: il bagno dove lavarsi alle sei del mattino, quando i dipendenti del caffè alzano puntuali la saracinesca. Il posto dove fare colazione, pagare regolarmente e fingere di svegliarsi presto per andare a lavorare.
Il posto dove anche pranzare e cenare. Ma Giovanni Di Donato nonostante la sua drammatica condizione, non chiede l’elemosina, mai. Anzi, si offende se qualcuno prova ad aiutarlo. A chi gli domanda se ha bisogno di aiuto, lui risponde sempre “Io non ho bisogno di niente” e aggiunge “io lavoro…”. “Faccio l’imbianchino, ho la partita Iva” racconta a camerieri e passanti che spesso si permettono di offrirgli un caffè o un cornetto.
Nonostante l’età e i visibilissimi acciacchi, è in cerca di lavoro. Mesi fa ha tappezzato le vie del centro con dei bigliettini: ha messo sopra la pubblicità della sua attività e il numero di telefono, proponendosi per piccoli lavori. Un lavoro poi è anche arrivato, “ha imbiancato la casa di un signore della zona…” ma non è stato stato sufficiente per pagare un affitto stabile.
La vicenda dell’anziano operaio è un dramma silenzioso consumato sotto gli occhi di tutti, tra l’imbarazzo di tutti.
“I camerieri da subito, già un anno e mezzo fa, mi hanno raccontato che Giovanni dormiva nella cabina – racconta la titolare del bar Grande Italia, Rosa Famiglietti – lui negava, ma i ragazzi lo riconoscevano dalle scarpe, si vedeva da sotto la tendina… Abbiamo vissuto mesi di profondo imbarazzo, non sapevamo cosa dirgli. Si comportava come un cliente normale. Pagava sempre, anche se poi con il passare dei mesi il pranzo abbiamo iniziato a offrirglielo, ma senza dirglielo, altrimenti si offendeva. Facevamo in modo che fosse casuale…”. “Ha sempre rifiutato il nostro aiuto – racconta la donna – perché tutti nella zona ormai eravamo consapevoli della sua situazione”.
Poi però alcuni giorni fa la situazione è precipitata. Giovanni Di Donato una mattina grondava sangue dai piedi. Se ne sono accorti i camerieri. “Giovanni dormendo sempre praticamente seduto, non sdraiandosi da un anno e mezzo, ha avuto pochi giorni fa un blocco circolatorio. Ha rischiato di morire”. La titolare del bar, molto preoccupata, davanti a quel sangue contattato il parroco del Duomo, don Aldino. Il prete ha affrontato l’anziano imbianchino: “ora basta Giovanni, devi farti aiutare”. Il parroco prima l’ha portato al pronto soccorso, poi gli ha trovato un posto in un ricovero per anziani, in un paese della provincia di Teramo. Ora Giovanni Di Donato, dopo un anno e mezzo di muta e drammatica sofferenza, ha trovato finalmente un letto dove riposare. E non è più costretto a dormire seduto dentro la cabina per fototessere.