Poi dicono che stanno infagando sull’omicidio di Piersanti Mattarella…
Caro direttore, leggo sul Corriere del 6 gennaio, fra gli articoli relativi al quarantesimo anniversario della tragica morte di Piersanti Mattarella, che il dottor Caselli nuovamente parla di incontri di mio padre con i vertici di Cosa nostra «come accertato nel processo di Palermo a suo carico».
Tali incontri sarebbero avvenuti in due occasioni nel 1980 secondo quanto riferito dal collaboratore di giustizia Marino Mannoia. Il racconto non fu ritenuto attendibile nella sentenza di primo grado che giunse all’assoluzione, mentre una diversa valutazione ne fu data dai giudici di secondo grado, che si pronunciarono essenzialmente proprio su tale base in modo diverso.
La sentenza di Cassazione che scrisse la parola fine alla vicenda processuale sostiene che «i giudici dei due gradi di merito sono pervenuti a soluzioni diverse», ma non rientra tra i compiti della Cassazione «operare una scelta tra le stesse»; la ricostruzione e la valutazione dei singoli episodi nella sentenza della Corte di Appello «è stata effettuata in base ad apprezzamenti ed interpretazioni che possono anche non essere condivisi», sicché agli apprezzamenti e alle interpretazioni della Corte d’Appello «sono contrapponibili altri dotati di uguale forza logica».
Ne consegue che dalla lettura integrale delle sentenze non si arriva alle conclusioni di certezza sopra richiamate. Si può aggiungere poi che il sopra menzionato racconto di Marino Mannoia (personaggio detto il chimico per la dimestichezza nel trattare la droga e autore di un numero non precisato di omicidi) contiene affermazioni davvero infamanti anche della figura di Piersanti Mattarella, che «dopo aver intrattenuto rapporti amichevoli con i cugini Salvo e con Bontate, ai quali non lesinava i favori» successivamente avrebbe «mutato la propria linea di condotta», dichiarazioni che chi ritiene veritiero quanto riferito su mio padre si guarda bene dal riportare nella loro interezza.
Un cordiale saluto.
Stefano Andreotti