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Vietato curare!

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Il virus deve restare minaccioso e il vaccino rende più delle cure

 

Anche l’Italia avrà accesso al vaccino contro il coronavirus Sars-Cov-2 di Oxford-Pomezia che AstraZeneca produrrà per la popolazione europea. La notizia è stata postata ieri su Facebook, come è ormai d’abitudine, dal ministro della Salute, Roberto Speranza che, insieme a Germania, Francia e Olanda, dopo aver lanciato nei giorni scorsi l’alleanza per il vaccino, ha sottoscritto un contratto con AstraZeneca per l’approvvigionamento fino a quattrocento milioni di dosi da destinare a tutta la popolazione europea. «Il candidato vaccino», si legge nel post, «nasce dagli studi dell’Università di Oxford e coinvolgerà nella fase di sviluppo e produzione anche importanti realtà italiane. L’impegno prevede che il percorso di sperimentazione, già in stato avanzato, si concluda in autunno con la distribuzione della prima trance di dosi entro la fine dell’anno. Con la firma di oggi arriva un primo promettente passo avanti per l’Italia e per l’Europa. Il vaccino è l’unica soluzione definitiva al Covid-19. Per me andrà sempre considerato un bene pubblico globale, diritto di tutti, non privilegio di pochi». Il passo fatto dal governo permette all’Italia di non stare indietro in una corsa che vede in prima fila America e Cina, ma che lascia perplesso il mondo scientifico.
Come più volte è stato fatto notare da virologi e immunologi, il nuovo coronavirus è ancora un’incognita per l’aspetto immunitario. Il fatto che molti restino positivi per varie settimane e la produzione di anticorpi non sempre neutralizzanti, cioè efficaci contro il virus, anche in persone che sono guarite, lasciano lo spazio a molte incognite.
Solleva dubbi sull’efficacia del vaccino anche lo stesso Anthony Fauci, uomo di punta della task force del governo americano per la Covid-19 e capo dell’Istituto delle malattie infettive statunitense (Niaid), partner della multinazionale Moderna per lo sviluppo di un vaccino. In un’intervista pubblicata sul Journal of american medical association (Jama) Fauci osserva che «non c’è mai garanzia che il vaccino sia efficace» e si dice «incerto sulla durata della risposta immunitaria, visto che, nel caso fosse efficace, per gli altri coronavirus, la durata della protezione può andare da alcuni mesi a dieci-vent’anni». In ogni caso, la ricerca continua a tutte le latitudini e a suon di miliardi. Ogni annuncio di stato di avanzamento di sviluppo è salutato con un balzo del titolo e questo è già un buon risultato, probabilmente, per chi ci investe. Difficile districarsi tra le centinaia di ricerche in corso. Nel mondo sono una decina i vaccini in fase più avanzata di sviluppo. Entro la fine dell’anno dovrebbe arrivare quello dell’americana Moderna, che partirà a luglio con uno studio di fase 3 – quella necessaria all’approvazione e produzione – su trentamila persone. Praticamente alla stessa fase di sviluppo c’è anche il candidato vaccino che viene testato dall’Università di Oxford e fatto in collaborazione con l’azienda Advent Irbm di Pomezia. Sono attesi per fine settembre i risultati dello studio di fase 3 su diecimila persone: cinquemila volontari sani sono già stati arruolati nel Regno Unito e altrettanti in Brasile, dove il virus è ancora presente in modo adeguato per testarne l’efficacia, visto che in Europa la carica virale è in calo. Ovviamente, se funziona, dovrà essere prodotto e per questo governi e aziende stanno lavorando ad accordi con imprese produttrici (come AstraZeneca). Questa fase, di solito richiede mesi, e non pochi, ma l’ottimismo si spreca.
In ogni caso, per unire le forze nella negoziazione, una decina di giorni fa, Italia, Olanda, Germania e Francia hanno formato una Alleanza per un vaccino inclusivo per accelerare il processo di sviluppo e garantire l’accesso a un vaccino efficace. Tanto per avere un’idea, l’Italia parteciperà con 120 milioni di euro per i prossimi cinque anni, per un totale di 287,5 milioni nel 2030. La Gran Bretagna, nello stesso periodo, investirà quasi due miliardi. In ogni caso la multinazionale AstraZeneca nelle settimane scorse ha annunciato che è in grado di produrre un miliardo di dosi entro il 2021, con le prime consegne a settembre, ma trenta milioni sono già per la Gran Bretagna.
Certo, la ricerca serve, anzi è fondamentale – e non solo per la lotta alla Covid-19 – ma forse ci sono anche altre strade su cui investire. Nel caso di una seconda ondata di Covid19, che arriverebbe ben prima del vaccino, servirebbero farmaci. In tutto il mondo, ma anche in Italia, sono in corso studi promettenti su molecole vecchie (clorochina) e innovative come gli anticorpi monoclonali specifici, in grado di bloccare l’accesso del virus nelle cellule umane. Tra loro ci sono anche derivati dal plasma iperimmune di persone guarite dal Covid19.
È di ieri la notizia che i ricercatori dell’Università Federico II di Napoli e di Perugia hanno identificato molecole simili al colesterolo, come degli acidi biliari prodotti dal fegato, in grado di impedire l’ingresso del virus Sars-Cov2 nelle cellule umane. Il vaccino potrebbe anche liberarci dalla Covid, ma per settembre servono cure.

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