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Duecento anni di fiabe e di anima tedesca

Duecento anni fa due giovani bibliotecari tedeschi, Jacob e Wilhelm Grimm, pubblicavano la raccolta di racconti che sarebbe diventata una delle opere più influenti del folklore in Germania, Europa e infine nel mondo, raggiungendo il secondo posto, dopo la Bibbia, tra i libri più letti nei paesi di lingua tedesca.

Sette furono le edizioni apparse dei loro racconti, tra il 1812 e il 1857. Tutte diverse tra loro, al punto da essere quasi impossibile riuscire ad attribuire alla stessa penna la prima e l’ultima edizione: le storie presenti nella prima raccolta sono infatti brusche, schiette, violente, comiche e tragiche, ma soprattutto non erano considerate in senso stretto “fiabe”. I Grimm non le ritenevano destinate ai bambini, ma consideravano le storie e la loro morale una naturale emanazione del popolo tedesco tramandata per via orale, che sostenevano andasse preservata prima che potesse andar persa.

La storia della raccolta comincia nel 1808, quando un amico dei Grimm, il poeta romantico Clemens Brentano, chiese loro di raccogliere tutti i tipi di racconti popolari in modo da poterli utilizzare per un libro di fiabe letterarie. Nel 1810 i due gli inviarono cinquantaquattro testi, che fortunatamente ricopiarono prima: Brentano infatti perse il manoscritto nel monastero di Ölenberg in Alsazia e non utilizzò mai per il suo libro i testi dei fratelli. Rendendosi conto dell’errore del poeta, e su suggerimento di un altro scrittore e amico, Achim von Arnim, i due decisero di pubblicare nel 1812 una parte dei racconti, cresciuti nel frattempo a ottantasei, e conclusero la raccolta con altri settanta nel Ciò che aveva “costretto” i Grimm a concentrarsi su antiche epiche, storie e leggende germaniche, era la convinzione che la forma più naturale e pura di cultura – capace di tenere insieme un’intera comunità – era quella basata sulla lingua e l’identità di un popolo. Secondo loro, la letteratura moderna, anche se rimarcabilmente ricca, era artificiale e non in grado di esprimere la genuina essenza della cultura “Volk”, derivata naturalmente dalla storia e finalizzata all’unione del popolo tedesco. Tutti i loro sforzi si concentrarono a tal fine a riscoprire le leggende del proprio passato.

Ma a raccontarci l’interesse per la cultura popolare e le oprie intenzioni sono gli stessi autori nella prefazione al libro: “Era il momento giusto per registrare quei racconti visto che le persone che dovrebbero salvaguardarli stanno diventando sempre più scarse…solo dove ancora quei racconti persistono, questi vivono senza la necessità di domandarsi se belli o brutti. La gente li conosce e li ama perchè sono parte della propria vita. E non si richiede una ragione materiale per amarli. E questo è esattamente il motivo per cui la tradizione della narrazione è cosi meravigliosa”.

Sebbene i giovani Grimm non avessero ancora formalizzato il proprio concetto di folklore mentre lavoravano alla pubblicazione della prima edizione, tennero sempre fede al principio originario per cui: è necessario salvare dall’oblio le reliquie della propria storia per costruire il futuro di un popolo. Questi racconti, queste leggende derivavano dalle esigenze, dalle abitudini e dai rituali della gente comune, e sono state in grado di creare un legame autentico e una comunità di valori, quindi di forgiare una tradizione. A voler ben guardare, una lezione attuale forse oggi più che mai.

 

 

 

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