Welfare

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Signori ecco a voi l’Italia del domani

E’ stata costretta a vivere in auto per due anni, collezionando 4.000 euro di multe per divieto di sosta. Ester non è una senza fissa dimora, ma una malata a cui una patologia che quasi nessuno conosce in Italia ha tolto tutto. Prima il lavoro, poi la casa e infine l’amore. Una non vita. E tutto a causa dell’MCS, la Sensibilità Chimica Multipla, una sindrome immunotossica infiammatoria che altera il funzionamento di alcuni enzimi.
LA SCOPERTA DELLA MALATTIA – Il suo calvario è iniziato dieci anni fa, a soli trent’anni. Ha lavato i capelli con un balsamo ed è finita all’ospedale di Rieti con una crisi respiratoria. «La mia vita è stata stravolta, non posso entrare a contatto con nessuna sostanza chimica». All’inizio è stata la casa a darle problemi. L’odore del bucato appena steso nel cortile era insopportabile. In ufficio non riusciva a tollerare il profumo dei colleghi, ma i medici riconducevano tutto a una «semplice» allergia.
VITA DA NOMADE – L’unico rifugio sicuro, a un certo punto, era diventata la sua macchina. Un giorno Ester l’ha parcheggiata a pochi passi dall’Ospedale San Giovanni a Roma e da lì non si è più mossa per quasi due anni. «Vivere in auto è stata una costrizione – ricorda – mi lavavo nel giardino, che facesse freddo o troppo caldo». Dopo qualche tempo la sua automobile è stata notata anche dalla polizia municipale che l’ha multata ripetutamente per divieto di sosta.
«MI PRENDEVANO PER MATTA» – «Alcuni vigili non si rendevano conto della mia condizione e agivano per dovere, altri semplicemente mi scambiavano per matta». Motivo per cui Ester è costretta a portare nella sua borsa un certificato di sanità mentale «per essere creduta». Una malattia difficile da diagnosticare. Oltre agli effetti della malattia è questo l’altro grande dramma di chi è affetto da MCS: essere considerato un malato psichiatrico da curare con psicofarmaci. Un errore diagnostico che finisce per aggravare il quadro clinico.
«Questa patologia causa una ridotta capacità di metabolizzare anche alcuni farmaci, primi fra tutti gli psicofarmaci», spiega il professor Giuseppe Genovesi, responsabile dell’unico centro in Italia per la diagnosi e la cura dell’MCS all’Umberto I. Un centro nato dopo che la Regione Lazio, tra le prime in Italia, ha riconosciuto questa patologia come invalidante.
PATOLOGIA INVALIDANTE – L’MCS è infatti una malattia emergente aggravata dall’inquinamento. «Chi ne soffre è una sorta di sentinella dell’ambiente – sottolinea Genovesi – e si accorge prima degli altri della presenza di sostanze tossiche nell’atmosfera». Per cercare aiuto spesso, però, Ester si è rivolta al suo medico di famiglia, il dottor Giovanni Belli, che da subito l’ha creduta. «Una notte mi ha chiamato dalla sua auto perché aveva una crisi respiratoria e le ho somministrato del cortisone – ricorda il medico -. Rivolgo un appello ai miei colleghi: non etichettate queste persone come malati psichiatrici, bisogna andare oltre quello che ci hanno insegnato all’università». Per Ester non è possibile, infatti, rivolgersi direttamente a un pronto soccorso.
CODICE ROSSO PERMANENTE – «Porto sempre con me anche un certificato che mi consente di entrate direttamente in codice rosso, senza sostare all’accettazione, perché – racconta – non posso tollerare neanche i prodotti per lavare i pavimenti». Anche a causa dell’indifferenza delle istituzioni, questi malati sono spesso soli. Una condizione che questa donna conosce bene e che l’ha spinta a fondare nel 2009 un’associazione.
APPELLO A SINDACO E VIGILI – Lei non lo dice, non lo chiede – anche se ritiene «ingiuste» le multe che le hanno comminato. Ma Corriere.it lancia un appello al sindaco, al Consiglio comunale e al Comandante della Piolizia Municipale: annullate le contravvenzioni a Ester; e aiutatela a curarsi.
Aiutate lei e gli altri soggetti affetti da Mcs: «Ascoltando gli altri malati ho capito che quello che feriva di più era l’indifferenza che ci circondava. Con l’associazione “Anchise” abbiamo voluto dare un punto di riferimento a chi deve combattere contro questa patologia». Se la malattia divora tutto, infatti, continuare a sperare diventa l’unico modo per sopravvivere. «Anche se so che è impossibile vorrei tornare a vivere una vita utile, magari lavorare – confessa Ester -. Spero che le istituzioni ci aiutino a sentirci ancora parte di questa società».

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