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X agosto. C’era l’Italia

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San Lorenzo, io lo so perché tanto di stelle per l’aria tranquilla arde e cade, perché si gran pianto nel concavo cielo sfavilla

Pianto di stelle.
Cesare Prandelli si candida come testimonial del finiano Fare Futuro, che, viste tutte le proposte che avanza, sarebbe più corretto chiamare “Come Neutralizzare Ogni Futuro”.
Lo smantellatemento di ogni cardine, un obiettivo tanto caro al signore della scrofa e  così intonato con l’internazionalismo in ogni salsa, sembra  perfettamente impersonato dal nuovo allenatore della Nazionale, un altro yes man delle oligarchie.
Il Palazzo dei Pochi vuole annullare il fattore organico, tradizionale, innovativo e rivoluzionario della Nazione: la grande illuminazione che ebbe Mussolini un secolo fa.
Ed eccoli balzare subito al volo sull’occasione per varare, violentando persino la lingua, la “nazionale degli oriundi”. Ma quali oriundi? Oriundi sono coloro che hanno origine in una natio, che sono quindi l’effetto genetico di un dna. I “nuovi italiani”, come li chiama il nuovo mister del club azzurro, non hanno origini italiane, il passaporto lo hanno acquisito, semmai sono “sfociundi”.


Amaurì


Ciò vale soprattutto per Amaurì che diventa italiano per avere sposato una donna di origini italiane!
La sua convocazione ha un solo significato: voler dare un segnale preciso, l’antitalianità del nuovo corso.
Il centravanti juventino con gran faccia tosta pretende di essersela meritata quella maglia.
Tralasciamo il fatto che non si diventa italiani perchè si gioca bene – altrimenti dovremmo proporre la casacca azzurra a Snjider, Milito, Maicon, Riise e Vucinic –  e notiamo piuttosto che il brasiliano sta lì per motivi politici  ed è del tutto inutile che il raccomandato ci prenda in giro.
Pur pieni come siamo di stranieri forti che scalzano i nostri calciatori, persino come centravanti italiani ce ne sono almeno tredici che quest’anno hanno fatto molto meglio di Amaurì, reduce da un campionato davvero disastroso .
Amaurì più Balotelli: non è un segnale da nulla. Significa una cosa sola, che si proverà in Italia, come già si è fatto a lungo in Francia, ad utilizzare la Nazionale come strumento politico e propagandistico di mobilitazione antinazionale.


Confusione e bramosia
 

Per farlo si giocherà su due elementi: la confusione e la barmosia.
La confusione. Al tempo d’oggi regna il caos, che comporta l’assenza completa di criteri e il trionfo, nevrastenico, del soggettivismo. Tutto vale tutto, l’alto il basso, la causa l’effetto, e così si perde il senso di ogni cosa. Non si sa più che significhi qualsiasi atto o concetto e s’ignorano le conseguenze di qualunque decisione, che viene accettata o rifiutata soltanto per gusto o prevenzione.
In questo caos la nazionalità vale l’iscrizione a un club di pesca o la sottoscrizione di una promozione sky: perché uno non potrebbe allora “diventare” italiano? O tedesco? O russo? O siamese? Basta volerlo, visto che si vive di estetismi e non di contenuti.
Il secondo elemento in gioco è la bramosia di vittoria, per la quale si passa sopra ogni cosa.
Ho sentito tifosi romanisti, ingannati dalle mosse borsistiche di due anni fa, disposti a cedere le proprie chiappe a Soros. Per vincere, la plebe trinariciuta è disposta a comprare i trofei e soprattutto a vendersi. L’importante, ti dicono “è alzare la coppa”. Roba che l’8 settembre diventa epopea di giganti! Che poi queste ricette non sempre funzionino, visto che, per fare un esempio, da quando è multirazziale la Germania non ha vinto più niente, è un altro conto sui cui raramente, però si riflette. L’importante non è vincere è essere convinti di farlo.
Su questa doppia oscenità, confusione e brama di successo, contano gli opinion makers, preoccupati della svolta politicamente scorretta in atto (anche) in Italia, che intendono così utilizzare la nuova nazionale contro la Nazione.
E Prandelli sembra proprio prestarsi al gioco.
Dopo Balotelli e Amaurì si parla di Taddei (che se non altro è effettivamente un oriundo) e di Thiago Motta e, soprattutto, ci si mobilita per accelerare la nazionalizzazione dei giocatori stranieri presenti nel nostro campionato.
Speriamo che questa multinazionale si faccia prendere a pallonate e che per il 2014 si torni ad avere una nazionale italiana, guidata da un tecnico non servile, che porti la sfida in casa del Brasile.


Balotelli
 

Razzismo! Balotelli in nazionale è un’operazione razzista.
Non scherzo. Il ghanese adottato da una famiglia italiana è sì forte, per capacità tecniche ed atletiche, ma è un adolescente eternamente bocciato sul piano umano: un provocatore sistematico degli avversari e del pubblico, uno che non gioca mai per i compagni, uno che, dice Boniek, in altri tempi sarebbe stato sistemato a dovere negli spogliatoi. Uno che gioca solo per se stesso, uno che oltraggia la maglia della squadra in cui gioca, non esitando a scagliarla platealmente per terra.
Uno che, schifato da tutt’Italia e in buona parte dagli stessi tifosi interisti, ogni volta si lamenta tirando in causa il razzismo e chiamando  a suo sostegno tutti gli ebeti del pollaio e soprattutto quei delinquenti altolocati che  vogliono imporre, putsch dopo putsch, il politicamente corretto.
Sono solo due i “negri” che ci hanno raccontato queste fregnacce per le quali dovrebbero venir presi a calci nel sedere: lui e l’inguardabile Zoro.
Gli altri, tutti, ivi compresi quelli che giocano nel suo club, gli hanno sempre replicato “ma che stai a dì testa de cavolo?”.
Eppure Balotelli, di scandalo razzista in scandalo razzista, ha fatto strada fino ad essere imposto in Nazionale per vararne il nuovo corso che sarà antinazionale.
Balotelli ed Amaurì sono stati scelti per banalizzare il significato di una maglia degradandolo alla stregua di quello di un’appartenenza di club, con tutto quel che ne consegue come  indebolimento della mobilitazione identitaria oggi in atto.


Razza, dicevate?


Chi va in Nazionale non dovrebbe solo essere italiano (che, per certi versi, finché non saranno state approntate le opportune soluzioni giuridiche che l’epoca richiede, nel caso dell’interista ci può anche stare)  ma deve rappresentare gli italiani che in lui si devono riconoscere. E non c’è nulla, ma proprio nulla, in Amaurì o in Balotelli in cui la comunità nazionale possa rispecchiarsi.
Non si tratta di colore di pelle (Amaurì è bianco) e neppure di lingua o cultura.
Si tratta di un portato, plurisecolare, che non è fatto soltanto di geografia, di genius loci, di trasmissione culturale ma, soprattutto, come conferma quotidianamente la scienza, di trasmissione genetica.
Non si tratta di “razzismo”, in quanto non esiste una razza italiana o una razza ungherese o una razza spagnola. Si tratta, in gran parte, di biologia, che non è una parolaccia.
Come razza non è una parolaccia. Ed è perché non la considerava tale, che ho messo il prode Malcolm X tra i grandi che commemoro; ed è perché non la considera tale, che considero un soggetto politico di alta dignità la Tribu K francese.
Per le stesse ragioni ho sempre ammirato Cassius Clay e Farrakhan.
Non c’è alcuna ragione di non esser fieri di quel che si è. Non si può ridurre il tutto ad uno solo degli aspetti (cultura, lingua, razza), ma neppure se ne può rifiutare uno per ragioni da psicoanalisi, come facciamo ormai da tempo, tanto che “indoeuropeo” lo abbiamo ridotto a un ceppo linguistico per paura di pronunciare una parola che ci rimanda all’idea di stirpe.


Nazionalità

Nazionalità non ha nulla a che vedere con diritti civici e politici e con permessi di soggiorno, è un qualcosa che si fonda su più aspetti, uno dei quali, e non di certo l’ultimo, è il gene.
Ogni nazione è frutto anche di incroci, ma da sempre si è fatto in modo che tempi e misure di questi incroci fossero tali da praticare innesti e non devastazioni.
Negare così che chi versa il sangue per una Nazione possa in qualche modo entrare a far parte di essa sarebbe assurdo,  come lo è aver abbandonato la disciplina del dovere che faceva sì che chi nasceva italiano dovesse dimostrarsi degno di essere italiano: così si fondano le nazioni che hanno un senso e un futuro.
Non si tratta solo di biologia anche perché, altrimenti, non si potrebbe determinare la nazionalità di un meticcio. E sappiamo bene che fior di nazionalisti meticci ci sono stati nella storia.
La biologia non è però un’accessorio, né un’invenzione.
Basta ossevare attentamente qualsiasi bambino e notare come, nei gesti del corpo, nei gusti, nelle vocazioni, abbia ripreso gesti, gusti e vocazioni di prozii, bisnonni, trisavoli.
Sono soltanto gli apprendisti stregoni, i Frankenstein nemici della Forma, i piccoli architetti dell’universo, i disfacitori di ogni cosa, che possono pensare l’opposto, perché vogliono pensare l’opposto, perché sono immaturi e capricciosi. E pericolosi.
L’identità è in gran parte un programma iscritto nel gene. Per raggiungere la felicità (che per i nostri antenati significava vivere secondo la propria natura) e la serenità, quindi il rispetto e la pace, vanno affermate e difese tutte le identità e va controbattuta invece l’azione dell’Informe che le vuole smantellare tutte, ad una ad una.


Negritude: siamo chiari


Siamo chiari, ma siamolo davvero. Io considero Pelè il più grande giocatore di tutti i tempi, sono  innamorato di Aldair, ritengo Seedorf, sia calcisticamente che umanamente uno dei più grandi campioni in attività, sono tifoso di Juan e ammiro Maicon ed Eto’o.
Stimo gli ascari più di tanti italiani, sono sempre stato per la cooperazione tra i popoli in chiave anti-imprialista e sono un sostenitore dei guerrieri somali, eritrei e  zulu.
Di più, io credo che possano esistere, eccome, dei camerati negri.
E sottolineo negri perché non condivido il razzismo incombente, quello che ha paura delle parole, che non definisce più, come tali, i vecchi, i ciechi, gli zoppi. Quello che considera evidentemente gli uomini di pelle nera come difettosi, handicappati, e cerca di usare termini che non li ferisca. Quello che definisce gli africani, come colorati, ignari che semmai i colorati siamo noi, visto che il bianco è totalità cromatica mentre il nero è assenza di colore.
Sottolineo negri senza vergogna alcuna. Perché non dovremmo usare questa parola?
Perché gli idioti americani, con il loro razzismo wasp, usano “nigger” come dispregiativo. Ma negro vuol dire nero in spagnolo, vale black o nero, con la differenza che, legata al termine negro, esiste una cultura, detta “negritude” che viene invece negata dal nostro (anti)razzismo uniformante.
Negro sottende una fierezza e un’identità che, con i nostri maternalismi e con i nostri complessi di colpa, calpestiamo ogni giorno avvilendo chi crediamo di  rispettare.
E anche per questo ritengo che sostenere che un Balotelli “meriti” la nazionalità italiana sia il colmo del razzismo. La nazionalità italiana è una qualità, una particolarità, ma non essendo quella al contempo particolare e universale che fu la cittadinanza di Roma, non è superiore in sé a quella ghanese.
E pensare di “concederla” è molto più razzista che non il rifiutarla.
Così come superiore non lo è in sé, rispetto alla ghanese, la nazionalità tedesca. Tra i due fratelli Boateng chiamati a scegliere al supermercato del mondiale scorso la maglia da indossare, io stimo quello che ha voluto la ghanese e disprezzo quello che si è fatto tedesco.
Chi tra i due è fiero e chi è servo è evidente.
E il servilismo targato Fini-Prandelli ci ha stufato prima ancora di cominciare.

 

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