venerdì 19 Luglio 2024

Mussolini tiene sempre banco

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Il fascino di Mussolini ha soggiogato anche i suoi avversari e persino i suoi assassini, morbosamente legati all’arma del delitto che, sembra, rispunti fuori in Albania

TIRANA – Il legno del calcio è scuro e un po’ lesionato. La parte metallica arrugginita, con la canna sottile, sulla quale non c’è più il nastrino rosso annodato dai partigiani. Eccolo qui il mitra che sparò addosso a Benito


Mussolini. Una bella impresa, ritrovarlo. Era chiuso in un ripostiglio del Museo


nazionale di Tirana ed è stato necessario richiamare dal mare, dov’era in vacanza, un funzionario di nome Ilyr, perché solo lui ha le chiavi del sotterraneo del Museo. Ilyr si è messo a rovistare fra uniformi della Seconda guerra mondiale,


scarponi sfondati, pacchi con dentro lettere di soldati. E a un certo punto salta fuori lo storico reperto avvolto nel cartone.


Come quest’arma sia finita in Albania l’hanno raccontato sul Corriere il


31 luglio Giuseppe Vacca, presidente della Fondazione Gramsci, e Shaban Sinani, direttore dell’Archivio di Stato albanese. Una vicenda romanzesca alla quale siamo in grado di aggiungere nuovi particolari. «Due anni fa – spiega il professor Sinani – catalogavo i documenti dell’archivio storico. E salta fuori quella strana lettera». Era firmata da Walter Audisio, il partigiano «colonnello Valerio», che si è sempre dichiarato autore dell’assassinio del Duce. Del trasporto si occupa un funzionario dell’ambasciata albanese a Roma, Edip Cuci.


In una valigia diplomatica, esente da controlli, il mitra approda a


Tirana. Lettera e arma arrivano sul tavolo del viceministro degli Esteri Vasil Nathanaili.


Il quale se ne libera subito. Il 30 novembre 1957 manda il mitra a Hysni Kapo, spiegandogli che Audisio chiede di mantenere il segreto. Non a caso quel cimelio finisce nelle mani di Kapo. E. l’uomo forte del regime, braccio destro


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