mercoledì 15 Gennaio 2025

Ma io non sono solidale

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Il tempo è scaduto

Qualcuno si eccita: pensa di avere riscoperto un popolo che si metterà a lottare.
In linea di massima si tratta di lavoratori che non ricevono i ristori che si aspettavano e adesso si scoprono combattivi. Quando si trattava di farlo efficacemente con le aperture coordinate e massicce dei ristoranti e dei bar, era prevalsa la prudenza: hai visto mai che mi multino e che non mi diano il ristoro!
Pecore bastonate che di colpo si travestono da leoni con gli hashtag e i selfie.
Quattro spintoni a Montecitorio nella narrazione collettiva e bipartisan, già sono diventati Valle Giulia o Tienanmen…

È giusto sostenere queste proteste? Francamente ne dubito. Se manca del tutto una visione d’insieme, al punto di esser fallita perfino la solidarietà corporativa, e se le motivazioni sono comunque quelle della difesa della bottega, non ci vedo alcuna ragione di solidarietà.
Ci sarebbe se ci fosse stato un serrate comune, un comune sentire, se non avesse prevalso quello che già diceva Flaiano degli italiani, che sono quelli che vogliono fare le barricate con i mobili dei vicini. Il che si estende anche nelle aspettative degli introiti dall’alto e dall’Europa.
Nessuno che si sia messo a pensare d’organizzare un’alternativa che fosse una. Al massimo proteste, piagnistei e lamentele. E perché, adesso che il piatto piange davvero, si dovrebbe essere solidali con chi, esattamente come tutti gli altri, ha pensato e pensa al proprio ombelico, al proprio stomaco e a nessun ideale?
E poi, per offrir loro cosa e per fare che?

Insomma non esiste alcun’avanguardia e da parte delle formazioni radicali sarebbe onesto ammetterlo a gran voce e un bel punto di partenza per poter ricominciare.
Non esiste alcun popolo, ma solo un gregge atomizzato che si riconosce solo nelle lamentele e nelle buffonate, come ai tempi delle cantate sui balconi con bandiere d’accompagnamento.
D’italiano c’è solo il peggio. C’è l’eredità di quelli che hanno lasciato commettere Piazzale Loreto o che hanno continuato a votare per gli assessori che batterono le mani alla notizia della morte del giovane Sergio Ramelli dopo quarantasette giorni di agonia. Il popolo dei Cocciolone, dei Fiorini, dei Poggiolini e degli Schettino. Il popolo di cui, dopo l’8 settembre, si cominciò a dire che aveva inventato la marcia indietro nei carri armati; quello di cui, allo scoppio della guerra delle Malvine, così aveva parlato un Lord inglese: “Gli argentini sono per metà italiani e per metà spagnoli, se prevarrà il sangue italiano scapperanno, se prevarrà quello spagnolo ci affronteranno”.

Esiste un’altra Italia? Certo, nelle eccellenze e nel genio.
Può allargarsi con l’esempio? Sì. Ma per questo è necessario che si beva l’amaro calice fino alla feccia. È indispensabile che la situazione diventi insopportabile, insostenibile, tanto da produrre scintilla. Non per “rovesciare il governo” o per chissà quale ipotetica rivoluzione, ma per il recupero antropologico di uomini coscienti e dotati di virtù.
Altrimenti è cagnara ed è fiction, è patetica buffonata. Non è assolutamente auspicabile che si riesca a ridurre l’impatto devastante della politica economica, questo sarebbe un anestetico letale.
Il processo deve continuare fino in fondo, Nessuna solidarietà a chi non l’ha meritata e continua a non meritarla! Perché rinasca un popolo questa massa dev’essere purificata.

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