Oppure chiama l’Europa
Fatto sta che se cede nel Sahel sono disastri per tutti, noi in primis.
È un occidente in ritirata su più fronti quello emerso nelle ultime settimane. Prima la conferma da parte di Joe Biden del ritiro degli Usa dall’Afghanistan, nei giorni scorsi poi la cerimonia con cui è stata ammainata la bandiera italiana ad Herat. Adesso, alla vigilia del G7 nel Regno Unito, è arrivato l’annuncio del presidente francese Emmanuel Macron sulla fine della missione Barkhane, ossia l’operazione nata nel 2013 contro la presenza delle sigle jihadiste nel Mali. Una decisione che dall’Eliseo non si vuole far passare come disimpegno, ma come spinta a un nuovo fronte comune europeo da attuare nel Sahel. Di certo, la mossa della Francia, visti i mediocri risultati raggiunti nel Paese africano, sa anche di realismo.
L’annuncio di Macron
Si può dire che tutto è nato nel marzo del 2012, dunque nove anni fa. In quel mese l’esercito in Mali ha rimosso l’allora presidente Amadou Touré con un colpo di Stato, episodio che ha innescato una spirale di destabilizzazione da cui il Paese prima e l’intera regione del Sahel poi non sono riusciti più ad uscire. La debolezza delle istituzioni di Bamako ha portato prima alle rivendicazioni indipendentistiche dei Tuareg, successivamente all’avanzata delle forze jihadiste nel nord del Mali. La Francia ha risposto con l’avvio della missione Serval, progenitrice poi dell’attuale operazione Barkhane. L’obiettivo era quello di aiutare il Paese africano a recuperare il territorio perduto e far indietreggiare i califfati costituiti dalle ramificazioni locali di Al Qaeda. Se da un lato è vero che i terroristi hanno perso il controllo di importanti regioni, dall’altro però il fenomeno jihadista non è affatto terminato. Al contrario, gli islamisti hanno iniziato a dilagare anche nei Paesi vicini, portando il terrore in Burkina Faso, in Niger e in Ciad.
In questo contesto, Parigi è andata sempre più in difficoltà. A livello militare, l’esercito transalpino ha perso 55 uomini e si è dovuto muovere in un territorio impervio e difficile da controllare. Sotto il profilo politico la tradizionale influenza francese in questi ultimi anni ha iniziato a scemare. Un’accelerazione in tal senso si è avuta nello scorso mese di agosto, quando a Bamako un altro colpo di Stato ha rimosso il presidente Keita, vicino alla Francia. L’Eliseo però non è intervenuto ed ha lasciato correre. Il 24 maggio un altro golpe ha messo fine alla breve era del presidente Bah N’Daw. Ad ordirlo è stato il generale Assimi Goita e questa volta Parigi non ha gradito. Il nuovo colpo di Stato potrebbe aver spostato gli equilibri del Mali verso l’islamismo, come dimostrato dalla nomina quale nuovo primo ministro di Choguel Makalla Maiga. Quest’ultimo è un membro del cosiddetto “Movimento 5 giugno”, tra i più attivi nelle proteste che la scorsa estate hanno poi portato al primo golpe di agosto. Manifestazioni, in quelle occasioni, organizzate sotto la spinta soprattutto dell’imam Mahmoud Dicko, favorevole a un dialogo con le frange jihadiste e fautore di una visione conservatrice della società. Un ideale politico molto presente nei pensieri del nuovo premier.
Per la Francia questo è troppo. Indebolita anche dall’uccisione in Ciad del presidente Deby, fedelissimo dell’Eliseo, a questo punto la politica transalpina ha deciso di rompere gli indugi: “É giunto il momento – ha annunciato il presidente Macron in conferenza stampa – di trasformare la nostra presenza militare nel Sahel”. Già nelle prossime settimane verrà ridotto il numero di soldati francesi presenti, attualmente nell’ordine di 5.100, così come verranno chiuse diverse basi. Finisce quindi l’operazione Barkhane, termina l’avventura in solitaria della Francia nel Mali e nell’intera regione.
Cosa cambia per gli italiani arrivati in Mali
Ma l’addio all’operazione non coincide con la totale smobilitazione francese nel Sahel. Soldati transalpini rimarranno presenti nel Mali anche dopo la chiusura delle basi usate da Barkhane. A chiarirlo è stato lo stesso Macron: “Occorre – ha dichiarato il capo dell’Eliseo – un’operazione militare e un’alleanza internazionale che coinvolga gli Stati della regione e tutti i nostri partner strettamente concentrati sulla lotta contro il terrorismo”. Tradotto dal politichese, vuol dire cioè che la Francia non vuole più (o non può) far da sola. Al contrario, Parigi vuole essere protagonista di operazioni che vedano l’Europa in prima linea. Chiaro quindi il riferimento alla missione Takuba, partita nei mesi scorsi e che vede la presenza anche di 200 soldati italiani in via di dislocazione a Gao e nella cosiddetta “area dei tre confini”. Emmanuel Macron vuole puntare sul sostegno dei partner europei per presidiare una regione strategica per l’intero Vecchio Continente. Con la fine di Barkhane quindi, si potrebbe pensare a un potenziamento della missione Takuba e a maggiori responsabilità per i Paesi aderenti all’operazione, a partire dall’Italia.