lunedì 1 Luglio 2024

A che punto è la guerra

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La Russia è alla frutta, noi paghiamo costi salati e solo gli americani possono impedire una rapida conclusione di questa follia

 

All’inizio dell’invasione russa in Ucraìna facemmo delle previsioni precise, accompagnate da immancabile codazzo di lazzi e risatine dei fulminati da oppiacei de noantri che vivono in overdose uno scontro di civiltà in uno scenario da Second  Life.
Dicemmo che i russi si muovevano in accordo (oggettivo o concordato poco importa) con gli americani. Che la loro svolta metteva fine all’ipotesi Gran Continentale fino allora perseguita da Parigi e Berlino. Che avrebbe rafforzato la Nato, ma al contempo avrebbe spinto l’Europa a maggior organizzazione comune; che ci sarebbe costata carissima ma mai quanto alla Russia che si avvitava in un cul de sac apprestandosi al tramonto definitivo come potenza; che la Cina avrebbe sì continuato a spogliarla ma non l’avrebbe aiutata.
Sette mesi e mezzo dopo continuiamo a registrare reiterate conferme di tutte quelle valutazioni.
Non è necessario soffermarci sul rafforzamento della Nato, che è sotto gli occhi di tutti, né sul deteriorarsi delle intese tra Parigi, Berlino e Mosca, che sono palesi.
Diamo un’occhiata al resto.

I vantaggi americani
Non parliamo soltanto del guadagno economico e strategico che gli americani hanno portato a casa vendendoci circa 30 miliardi di metri cubi di shale per coprire il grosso dei 43 miliardi che non importiamo più dalla Russia, visto che nel primo semestre bellico abbiamo tagliato le importazioni da Mosca del 42,8%. Non parliamo solo del dato strategico (Nato + blocco all’accesso delle risorse del Donbass, in particolare il cobalto + minaccia russa ad est e a sud, da Libia e Mali).
Parliamo anche di guerra all’Euro e alla nostra ripresa.
La linea monetaria della FED, a protezione dei costi d’importazione americani, ha deprezzato la valuta rivale del Dollaro, cioè la nostra, ne ha ridotto l’attrattività sui mercati, rincarando l’importazione e scaricando ancora una volta su di noi l’inflazione d’oltre Oceano che minaccia di farsi stagflazione. D’altronde questa scelta impone anche il taglio della politica dell’ elicopter money, quindi paralizza gli incentivi di ripresa, e tutti i Paesi europei sono confrontati a grandi difficoltà, dovendo fare anche fronte ai costi energetici schizzati alle stelle soprattutto per le speculazioni e le scommesse borsistiche e che sono ora valutati al 3,1% del Pil della UE.

I fermenti della UE
La UE da un lato parla di unità, dall’altro ogni governo prova a fare da sé, ma infine, terzo tempo, confluisce su accordi programmatici e concreti. Mi riferisco a progetti politici o militari quali il CEPE o il nucleo di difesa intra-europeo ma non solo. Benché la montagna sembri partorire topolini, c’è un accordo d’insieme per regolamentare, gas escluso, i profitti energetici che sono lievitati artificialmente, riducendo così in parte il peso sui contribuenti. Una misura che avrebbe anche degli effetti nel contenimento dei fondamentalismi verdi che sono un altro fattore della nostra paralisi.
Aggiungiamoci, a prescindere dalla motivazione in sé, la scelta operata nel sanzionare l’Ungheria: il passaggio dall’unanimità alla maggioranza qualificata per le decisioni da prendere.
E chiudiamo con la recente cooperazione italo-francese, frutto del tanto osteggiato Patto dell’Eliseo del quale i nostri hanno puntualmente capito l’opposto del significato: il varo in Sicilia della prima fabbrica europea per produzione di base nel campo del microchip.
Come si sono accorti quasi tutti gli analisti – meno ovviamente i saltimbanchi alla Pappalardo, alla Pappagone, alla Fusaro, e compagnia stonante – l’effetto di concentrazione unitaria è in atto.

La Cina non sostiene la Russia
Intanto la Russia sta nei guai. Il Paese più grande del mondo, così ricco di materie prime, che non riesce mai a svilupparsi e che vanta il Pil della piccola e in gran parte arida e spopolata Spagna, ha portato a casa, rumorosamente, una serie di accordi commerciali extra-occidentali. Accordi capestro, tra l’altro. Ma è come quando si risponde a un cataclisma stanziando fondi cosa ben diversa dal disporne.
Lo spostamento del gas da ovest alla Cina, con tanto di infrastrutture, nel migliore degli scenari espresso da Gazprom si produrrà nel 2028.
Mosca è in gravi difficoltà cui si aggiunge l’isolamento politico, con l’evidente perdita di credito che è stata dimostrata in modo quasi offensivo a Samarcanda da Xi, Erdogan e Modi.
Il Cremlino continua a sbandierare un’alleanza contro il NWO a trazione americana ma continua a essere smentito in questa frottola campata in aria.
Quello che più colpisce sono le valutazioni cinesi espresse dagli organi e dai centri studi che rappresentano informalmente Pechino e ne descrivono le posizioni.
L’ambasciatore in Usa, Qin Gang, ha pubblicamente dichiarato che la Cina non ha fornito aiuti sostanziali alla Russia.
Jia Qing-guo, rettore della scuola di studi internazionali dell’Università di Pechino (come l’equivalente di un dirigente del CFR negli Usa) ha specificato: “L’attuale ordine mondiale è ancora il migliore che l’umanità abbia mai conosciuto; attraverso istituzioni consolidate gli Stati difendono valori e principi universalmente accetati come la sovranità (…) le nuove potenze possono essere scontente di una particolare distribuzione di benefici  ma non hanno alcuna intenzione di rovesciare l’ordine (…) Cina e India richiedono solo delle riforme piuttosto che la sostituzione dell’intero ordine mondiale esistente”.
Wang Yiwei, professore della Renmin è stato ancor più esplicito. “La Cina sfrutta la globalizzazione e non ha bisogno di alterare lo status quo mentre la Russia (e qui raggiunge l’autocritica di Kortunov) non si è mai integrata nel mercato mondiale e ha un senso d’insicurezza”.
Zao Long, del centro studi di relazioni strategiche SIIS chiarisce: “Le due potenze (Russia e Cina) non coglieranno l’occasione ucraìna per formare un fronte antioccidentale, Pechino si atterrà ai principi di non alleanza, non confronto e non presa di mira di parti terze”.
Chiarisce che prima del conflitto Xi aveva sì espresso insieme a Putin una denuncia sull’allargamento della Nato verso est “ma ciò non implicava l’accettazione semplificata della narrativa o degli argomenti della Russia”.

I tempi della pace

A questo punto entra in gioco la tempistica della chiusura delle ostilità. Putin annaspa e dovrebbe garantirsi almeno sei anni di tenuta, cosa che sembra davvero diffcile, perché questo non conviene a nessuno, né alla società russa, né alla Cina, né all’Europa, ma conviene agli Stati Uniti, quegli stessi che sono già intervenuti a più riprese a calmierare lo sforzo ucraìno e che – mistero dei misteri – pur con la tecnologia che posseggono non sono ancora riusciti a trovare il modo di bloccare i carri armati russi che sono attivati da chip americane.
È evidente che per gli Usa se la guerra dura altri due anni vincono su tutti i fronti.
Più dura più paghiamo noi europei, più dura e più la Russia si avvia a scomparire dal novero dei players mondiali.
A noi serve che termini prima, non certamente con le giravolte ottosettembrine degli Alemanno, degli Orsini, dei Capuozzo ma con un cambio al Cremlino e con una trattativa che salvaguardi interamente  l’Ucraìna e che ci consenta così di mantenere anche una quota di gas e petrolio russi, facendo da contrappeso alla deriva di Mosca verso Pechino che se l’ingloba.
Perché la Russia ha perso ormai la partita internazionale sia dal punto di vista del confronto militare ed economico che da quello della faccia e se continua così salverà le natiche di alcuni mafiosi al potere ma muoverà ormai esclusivamente per gli oggettivi interessi americani.
In Europa si prospetta una linea di pacificazione nella fermezza che, oltre a Francia e Germania, dovrebbe vedere in prima fila l’Italia.
Ieri Insideover descriveva l’iniziativa di Macron facendo notare l’importanza che in essa dovrebbe avere la Meloni perché considerata vicina al Vaticano.
Esattamente una settimana fa ipotizzavo che le sarebbe stato offerto un ruolo alla Merkel perché così vicina a Visegrad da poter tranquillizzare e in qualche modo rappresentare i Paesi più ferocemente ostili alla Russia, con tutte le ragioni.
Anche stavolta corollario di lazzi e risatine che rappresentano la prova del nove ogni qualvolta si suppone qualcosa di sensato.

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