Una nube tossica provocò una catastrofe: decine di migliaia di morti
Bhopal vent’anni dopo. 555 dollari per il silenzio
I sopravvissuti aspettano i soldi della Union Carbide. In cambio l’impegno di smettere di protestare
BHOPAL –La tosse: per Arman, Raju e Ajju, che hanno 20 anni nel 2004, è la colonna sonora della loro vita. La tosse dei loro padri, delle madri, dei fratelli, delle sorelle, e dei vicini, oltre le sottili tramezze. Notte e giorno, estate e inverno, le pareti nude di casa riecheggiano i colpi di tosse. Non arriva e non arriverà mai quello liberatorio, quello che riuscirà a espellere il male dai bronchi sconquassati. Sopravvivere alla catastrofe chimica del 3 dicembre 1984 non è stato un grande affare: 240 mesi di tosse e fame e, adesso, 555 dollari e 55 centesimi a testa per smettere di protestare. Per lasciar finalmente sbiadire sui muri la scritta «Hang Anderson», impiccate Anderson, rinfrescata ancora ieri e riferita a Warren, l’ex amministratore delegato della Union Carbide, la fabbrica americana di pesticidi che ha trasformato una delle più belle e secolari città dell’India centrale in un assordante lazzaretto di tisici inguaribili.
Venticinquemila rupie per smettere di lamentare cecità, nausee, vomiti e fitte al petto. Per lasciare che il mondo dimentichi il nome di Bhopal e le cifre mai precisate della strage.
Tra i sedicimila e i trentamila morti, mezzo milione di superstiti malconci, 150 mila coi polmoni sfiniti e gli occhi cauterizzati dalla grande ustione chimica. E nessun processo per stabilire come sia accaduto.
Arman, Raju e Ajju, classe 1984 come la fuga di 40 tonnellate di gas, sono amici d’infanzia, cresciuti insieme nelle strade di terra battuta e pozzanghere di Congress Nagar, il quartiere musulmano a sud del vecchio stabilimento. Il destino loro e del vicinato quella notte tra il 2 e il 3 dicembre fu deciso dal vento che inseguì i fuggitivi verso meridione, con la sua nube carica di isocianato di metile, lo sterminatore di parassiti campestri, implacabile ingrediente di una miscela brevettata dalla Union Carbide col marchio «Sevin».
L’efficacia collaudata sugli insetti nei laboratori della Virginia occidentale diventò evidente, senza microscopio, ingigantita a misura d’uomo in India. Non erano cocciniglie e pidocchi a contorcersi nell’erba e nell’asfissia. Donne, uomini, bambini soffocavano nel loro sangue e nel loro vomito, bruciavano senza fuoco. Minuti, ore, giorni, mesi, anni: l’agonia si rivelò di proporzioni variabili. Proprio quanto le stime del disastro, delle conseguenze e delle responsabilità. E dell’impennata di tumori.
Vent’anni di congetture, che ad Arman, Raju e Ajju non interessano granché: vogliono solamente 555 dollari e spiccioli ciascuno, al più presto. «Perché senza quei soldi non possiamo far nulla» dice Arman, il più loquace del terzetto, accovacciato sul pavimento di casa accanto al padre, Feroz, venditore di farina, che dorme avvolto in una vecchia coperta. Per i loro 1.666 dollari e rotti, i tre ragazzi hanno piani precisi e comuni: «Prima cure mediche private e poi il business». Il business? «Sì, un negozio. O un’altra attività, che ci permetta di farci anche una famiglia». Con una ragazza di Bhopal? «Quelle di fuori sono più sane – parla chiaro Arman, con un guizzo astuto negli occhi -. Molte ragazze qui invecchiano senza un marito. A meno che siano molto belle e molto ricche».
I tre amici riscuot