giovedì 18 Luglio 2024

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Tutto va bene per gli Stati Uniti pur di demonizzare Ugo Chávez, serio ostacolo al liberismo e al dominio delle multinazionali. Washington intanto procede con gli assassini e i ricatti terroristici.

Il 19 novembre, nel quartiere Charaguamos di Caracas, Danilo Anderson è morto carbonizzato nella sua


auto, saltata in aria per un attentato eseguito con una tecnica sofisticata. Chi era costui, si chiederanno molti dei nostri lettori. I grandi quotidiani e le televisioni non hanno, infatti, riservato spazio alla fine di questo trentottenne giudice che stava indagando sui mandanti interni e stranieri del tentato colpo di Stato contro il presidente venezuelano Ugo Chávez dell’aprile 2002. Come si ricorderà, i golpisti, sostenuti da ampi settori dell’opposizione, da una parte dell’esercito, dall’organizzazione degli imprenditori e dall’approvazione


di Washington, furono sconfitti dalla reazione popolare, sostenuta da migliaia di diseredati, calati nel centro della capitale dalle loro baraccopoli. La notizia dell’assassinio di Anderson l’abbiamo trovata, in forma indiretta, solo sul “Foglio” che, a distanza di una ventina di giorni, ha pubblicato un articolo in cui si deprecava la “brutale” perquisizione del centro culturale “Hebraica” da parte della polizia che indaga


sull’attentato e che, con le sue maniere spicce, avrebbe spaventato i bambini della scuola israelitica. Povero


Chávez, per lui, “negro” e indio, stanno fabbricando anche l’accusa di razzismo antisemita.


La notizia su cui la stampa europea ha preferito sorvolare non è, oggettivamente, di poco conto. È noto come vi siano molti sospetti sulla complicità dei servizi statunitensi nel tentato golpe e, ora, che il giudice


preposto a indagare viene eliminato, alla maniera di Falcone e Borsellino, ci si aspetterebbe una certa curiosità nelle redazioni. Invece, niente: silenzio quasi assoluto. Si tratta dell’ennesima conferma di come


la pubblica opinione del “libero Occidente” venga modellata attraverso una selezione per nulla neutra delle notizie, in base alle quali maturare opinioni e convincimenti. Quando, in futuro, qualche altra polemica investirà Chávez, di lui le persone mediamente informate ricorderanno soprattutto il pre-giudizio del demagogo autoritario, dell’assassino degli oppositori, dell’affamatore del popolo. Non avranno potuto, nel frattempo, riflettere su un omicidio politico che dà la misura della spregiudicatezza e degli appoggi dei suoi


nemici. A quel punto, il circuito mediatico passerà, “in automatico”, alla consueta demonizzazione, quando sarà di nuovo arrivato, per il presidente venezuelano, il turno di rappresentare il nemico della libertà.

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