lunedì 13 Ottobre 2025

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Il leader dell’Autonomia Debole scopre i disagi sociali e culturali dell’informatica. Peccato che dieci anni fa andava esaltando il ruolo democratico, internazionalista e rivoluzionario di Internet. Come sempre, con decenni di ritardo Approdano alle conclusioni dei loro “dirimpettai” e passano per profondi intellettuali…

Qualche anno fa mi trovavo a Vancouver per visitare il mio amico Andrew che lavorava alla Electronic Arts, un’azienda di produzione di videogames.


Andai a trovarlo in azienda, e mi portò a fare un giro per i reparti. Al collaudo c’erano alcune decine di ragazzi che otto ore al giorno collaudavano le nuove produzioni, giocando ininterrottamente davanti allo schermo. Il mio amico mi disse: «Sai, l’altro giorno ho dato un passaggio a uno di loro, e prima di salutarlo gli ho chiesto: “E questa sera che fai?”. Lui mi ha detto, tranquillo tranquillo: “Gioco con i miei videogames”. “Possibile? Dopo otto ore che lo fai per lavoro torni a casa e continui a giocare?”. Lui mi ha guardato con un sorrisetto triste e mi ha detto: “Beh, sai, nell’ultimo mese mi è arrivata una sola telefonata, era di un tizio che aveva sbagliato numero”».


Quando Andrew mi raccontò quella storia, per un attimo trattenni sbalordito il respiro: tutto mi appariva improvvisamente più chiaro. La prima generazione videoelettronica, quella che ha imparato più parole dalla macchina televisiva che dalla mamma non può essere ridotta a nessuna definizione univoca, come nessuna generazione, mai. Ho pensato al racconto di Andrew sentendo la notizia dei due ragazzi di Lecco. Alla loro storia e a come è stata raccontata.


E’ difficile non rendersi conto del fatto che qualcosa è accaduto e sta accadendo nelle profondità dell’inconscio macchinizzato di coloro che oggi raggiungono la maggiore età. Sono cresciuti negli anni in cui i papà e le mamme erano sempre meno disponibili a occuparsi di loro perché l’orario di lavoro diventava sempre più lungo e flessibile in nome della competitività. Nella loro vita quotidiana si è aperto un abisso di tristezza e solitudine, riempito dalla competizione nel conformismo, dalle misere trasgressioni di chi non conosce altro che la miseria, e talvolta dalla violenza e dall’aggressività.


Ogniqualvolta leggo un episodio di cronaca di questo genere ciò che mi viene in mente è il deserto interiore: l’occupazione del tempo di vita da parte di quantità sempre più massicce di lavoro mal-salariato, l’intensificazione del ritmo degli impulsi mediatici a cui la mente infantile è esposta quotidianamente, la cancellazione progressiva dei luoghi che rendono possibile una qualche socialità.


I due ragazzi che a Lecco hanno ammazzato un benzinaio fanno parte di una galleria sempre più lunga, ormai quasi interminabile di automi irresponsabili. Quelli che uccidono finiscono sui giornali per qualche giorno, ma non sono che un piccolo segnale di una devastazione enormemente più ampia.


La mente della prima generazione videoelettronica sembra investita da un vero e proprio processo di mutazione psichica, percettiva, linguistica, comportamentale. La velocità del bombardamento videoelettronico rende impossibile una elaborazione discorsiva del vissuto emozionale. Il corpo della madre non esiste più per le carezze e il toccamento perché è risucchiato nel quotidiano caos della sopravvivenza metropolitana. E la scomparsa del corpo della madre distrugge, isterilisce l’affettività ed il piacer

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