giovedì 1 Maggio 2025

Guerra, pace, memoria

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Ora che sono passati l’ottantennale e il cinquantennale e che la canaglia infima ha sbraitato e ha dato prova della sua natura e della sua impotenza, è tempo di dire chiaramente le cose.

Pacificazione?

Non significa nulla. Sembrano le puttanate sulla pace in Ucraìna: basta che una parte ceda su tutto e si rinneghi e la otterrà.
Ovvero chi non è stato piegato dovrebbe piegarsi per essere tollerato. No grazie. Ed è comunque troppo tardi.

  • Questo significa che non ci sarà mai pace?


A parte il fatto che pace e guerra convivono sempre e che l’idea astratta di pace è una vile masturbazione di impotenti, la non pacificazione non implica conflittualità e neppure il rispetto dell’altro, quando però costui se lo meriti.

Non ho mai avuto problemi in ciò, neppure negli anni più feroci. Figuriamoci dopo!


Una volta a Torino rinunciai a una sala comunale perché intitolata a un partigiano caduto. Per rispetto nei suoi confronti, non per spregio.
Accettai invece dal Comune di Trezzo la sede locale dell’Anpi per presentare il libro in cui sostenevo che la matrice della strage di Brescia fosse partigiana. Perché quell’associazione parassitaria non merita rispetto.

Ho sempre rispettato i caduti nemici

Perfino i compagni caduti in Donbass, in Palestina o tra i curdi, anche se mi avrebbero assassinato senza problemi. Confesso chi riuscirei di meno se tra le truppe russe cadesse un rossobruno perché non avrebbe dovuto trovarsi lì se non rinnegandosi.

Non ho mai avuto problemi a instaurare rapporti leali con avversari di valore.
Ne cito alcuni: Oreste Scalzone, Lanfranco Pace, Ugo Maria Tassinari, Sandro Provvisionato, Raffaele Morani. Ai quali posso aggiungere, sua pur saltuariamente, Andrea Colombo, Valerio Morucci, Maurizio Bignami, D’Elia

  • Come diceva Walter Spedicato:
  • una volta finita la guerra si torna a casa e i nemici si rispettano reciprocamente.
  • Ma ora la canaglia, incoraggiata da agitatori pennisventola e da qualche demagogo senza dignità, ripropone la cultura dell’odio e del linciaggio. In difesa, dicono, delle libertà costituzionali. Che sarebbero quelle che consentono di bruciare vivo un bambino di nove anni o di demolire e mandare in lunga agonia un ragazzo che ha scritto un tema.
  • E di cercare d’impedirne in ogni modo il ricordo.

L’impressione che stiano tenendo in ostaggio la politica non è forse sbagliata.


Sono quattro cani idrofobi che imperversano disturbati senza prendersi nemmeno uno sganassone.
Non perché nessuno sia in grado di darglielo, ma perché la tensione di cui delirano non è percepita da nessuno. Non vi è nessuna mobilitazione, la guerra civile, di qualunque intensità è lontana, anche se loro la desiderano tantissimo perché senza odio non sarebbero più niente.
E infatti gli antifa sono niente. Talmente niente che per pestare il nemico devono andare in trasferta aggregandosi ai tedeschi.

Stanno nel loro mondo, una bolla.
Ora che sono passati l’ottantennale e il cinquantennale e che la canaglia infima ha sbraitato e ha dato prova della sua natura e della sua impotenza, è tempo di dire chiaramente le cose.

Pacificazione? Non significa nulla. Sembrano le puttanate sulla pace in Ucraìna: basta che una parte ceda su tutto e si rinneghi e la otterrà.
Ovvero chi non è stato piegato dovrebbe piegarsi per essere tollerato. No grazie. Ed è comunque troppo tardi.

Questo significa che non ci sarà mai pace?
A parte il fatto che pace e guerra convivono sempre e che l’idea astratta di pace è una vile masturbazione di impotenti, la non pacificazione non implica conflittualità e neppure il rispetto dell’altro, quando però costui se lo meriti.

Non ho mai avuto problemi in ciò, neppure negli anni più feroci. Figuriamoci dopo!
Una volta a Torino rinunciai a una sala comunale perché intitolata a un partigiano caduto. Per rispetto nei suoi confronti, non per spregio.
Accettai invece dal Comune di Trezzo la sede locale dell’Anpi per presentare il libro in cui sostenevo che la matrice della strage di Brescia fosse partigiana. Perché quell’associazione parassitaria non merita rispetto.

Ho sempre rispettato i caduti nemici. Perfino i compagni caduti in Donbass, in Palestina o tra i curdi, anche se mi avrebbero assassinato senza problemi. Confesso chi riuscirei di meno se tra le truppe russe cadesse un rossobruno perché non avrebbe dovuto trovarsi lì se non rinnegandosi.

Non ho mai avuto problemi a instaurare rapporti leali con avversari di valore.
Ne cito alcuni: Oreste Scalzone, Lanfranco Pace, Ugo Maria Tassinari, Sandro Provvisionato, Raffaele Morani. Ai quali posso aggiungere, sua pur saltuariamente, Andrea Colombo, Valerio Morucci, Maurizio Bignami, D’Elia

Come diceva Walter Spedicato: una volta finita la guerra si torna a casa e i nemici si rispettano reciprocamente.
Ma ora la canaglia, incoraggiata da agitatori pennisventola e da qualche demagogo senza dignità, ripropone la cultura dell’odio e del linciaggio. In difesa, dicono, delle libertà costituzionali. Che sarebbero quelle che consentono di bruciare vivo un bambino di nove anni o di demolire e mandare in lunga agonia un ragazzo che ha scritto un tema.
E di cercare d’impedirne in ogni modo il ricordo.

L’impressione che stiano tenendo in ostaggio la politica non è forse sbagliata.
Sono quattro cani idrofobi che imperversano disturbati senza prendersi nemmeno uno sganassone.
Non perché nessuno sia in grado di darglielo, ma perché la tensione di cui delirano non è percepita da nessuno. Non vi è nessuna mobilitazione, la guerra civile, di qualunque intensità è lontana, anche se loro la desiderano tantissimo perché senza odio non sarebbero più niente.
E infatti gli antifa sono niente. Talmente niente che per pestare il nemico devono andare in trasferta aggregandosi ai tedeschi.

Stanno nel loro mondo, una bolla.
Come bene ha detto Padellaro: è pieno di fascisti, ma non c’è nessun fascismo.
In realtà se avessero mai preso la briga di conoscerci scoprirebbero che è sempre stato questo l’atteggiamento fascista, addirittura per volontà di Mussolini.
Il fascismo è un’antropologia ed una passione che volge sempre a nuove sintesi.
E che ne ha prodotte anche dopo la guerra, con il peronismo ad esempio.

Quando c’è da fare qualcosa per il bene comune i ci sono sempre.

Se ne resero conto tutti ai tempi di Trieste, se ne rendono conto in Ucraìna, se ne stanno rendendo conto in Europa.

Ovviamente la sintesi è sempre nuova e ripropone parti diverse che convergono, senza però bisogno di fondersi o di volersi bene, verso uno scopo.
Se ci si riflette è esattamente questo che originò il fascismo e ne produsse poi il risultato.

La canaglia che predica l’odio inizia a dar fastidio nel suo stesso ambiente, perché è anche sciocca.
Colà ci si chiede perché mai non ci si confronti su progetti, fatti e comportamenti piantandola con i richiami scomposti e bestiali a Caino.

Le necessità della storia sono però più forti delle nostalgie degli aplogeti dei crimini vigliacchi, e costoro si spegneranno da sé.
Forse non senza produrre prima qualche crimine dettato da isteria di cui, come al solito, gli istigatori non saranno mai chiamati a rispondere.

Per quanto ci riguarda, noi celebreremo sempre e comunque i nostri caduti e trarremo dalla nostra storia e dalla nostra idea gli insegnamenti per il futuro.
Che gli altri, se ci riescono, facciano lo stesso.

Non con memoria condivisa, come alcuni vorrebbero, ma suddivisa e mai confusa perché non c’è proprio niente da concedere, da annaquare o da relativizzare.
Fissi nell’asse verticale e ben consci del centro parteciperemo alla rinascita dei popoli europei, che non intendiamo convertire ma rianimare perché siamo la chiesa di tutte le eresie e la nostra jihad è personale ed interiore. Non vogliamo soggiogare o uniformare ma mettere in forma bene ha detto Padellaro: è pieno di fascisti, ma non c’è nessun fascismo.
In realtà se avessero mai preso la briga di conoscerci scoprirebbero che è sempre stato questo l’atteggiamento fascista, addirittura per volontà di Mussolini.
Il fascismo è un’antropologia ed una passione che volge sempre a nuove sintesi.
E che ne ha prodotte anche dopo la guerra, con il peronismo ad esempio.

Quando c’è da fare qualcosa per il bene comune i fascisti ci sono sempre

Se ne resero conto tutti ai tempi di Trieste, se ne rendono conto in Ucraìna, se ne stanno rendendo conto in Europa.

Ovviamente la sintesi è sempre nuova e ripropone parti diverse che convergono, senza però bisogno di fondersi o di volersi bene, verso uno scopo.
Se ci si riflette è esattamente questo che originò il fascismo e ne produsse poi il risultato.

La canaglia che predica l’odio inizia a dar fastidio nel suo stesso ambiente, perché è anche sciocca.
Colà ci si chiede perché mai non ci si confronti su progetti, fatti e comportamenti piantandola con i richiami scomposti e bestiali a Caino.

Le necessità della storia sono però più forti delle nostalgie degli aplogeti dei crimini vigliacchi, e costoro si spegneranno da sé.
Forse non senza produrre prima qualche crimine dettato da isteria di cui, come al solito, gli istigatori non saranno mai chiamati a rispondere.

Per quanto ci riguarda, noi celebreremo sempre e comunque i nostri caduti e trarremo dalla nostra storia e dalla nostra idea gli insegnamenti per il futuro.
Che gli altri, se ci riescono, facciano lo stesso.

Non con memoria condivisa, come alcuni vorrebbero, ma suddivisa e mai confusa perché non c’è proprio niente da concedere, da annaquare o da relativizzare.
Fissi nell’asse verticale e ben consci del centro parteciperemo alla rinascita dei popoli europei, che non intendiamo convertire ma rianimare perché siamo la chiesa di tutte le eresie e la nostra jihad è personale ed interiore. Non vogliamo soggiogare o uniformare ma mettere in forma

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