lunedì 15 Settembre 2025

Aspetti Spirituali e Politici dei Rurikidi vs. Romanov in Russia

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Opera di Prus Julius Rurikid

Scritto composto ed elaborato tra il febbraio e l’agosto 2025

Gli ultimi esponenti della dinastia dei Rurikidi — Ivan III, Vasilij III, Ivan IV e altri — dalla seconda metà del XV secolo sino al termine del XVI secolo, si adoperarono per introdurre in Russia una forma di governo, una filosofia politica e una spiritualità, tra gli altri elementi, ispirate al modello Ghibellino:

  1. Maestri delle Corporazioni delle Arti e dei Mestieri, recanti una marcata affiliazione Ghibellina, furono convocati da Milano per erigere i vari Kremlini — in primis quello di Mosca, ma non solo — i quali presentano un linguaggio architettonico riccamente intriso di simbolismo Ghibellino. Tra costoro si annoverano i Maestri d’Arte noti come Pietro Antonio Solari e Marco Ruffo, di origine milanese. Questo in quanto, benché Milano si fosse stata inizialmente schierata con i Guelfi (secoli prima), dopo un breve intermezzo ghibellino fra il 1277 e il 1302, essa divenne, a partire dal 1311–12, saldamente e durevolmente Ghibellina. Dunque, da tale data sino al 1499 (quasi ininterrottamente), Milano può essere considerata a pieno titolo una roccaforte consolidata del Ghibellinismo, dapprima sotto i Visconti e successivamente sotto i Visconti-Sforza (dove i Ghibellini rimasero arroccati e trincerati per secoli al potere). Di conseguenza, Solari e Ruffo, in qualità di Maestri d’Arte delle Corporazioni delle Arti e dei Mestieri di cui erano parte, provenivano da una città che per quasi due secoli aveva incarnato la tradizione Ghibellina. Non a caso, le corporazioni impegnate nella costruzione di fortificazioni, castelli, logge, palazzi e chiese — il cosiddetto “Gotico di Milano” o “Gotico di Lombardia” — a Milano e in Lombardia erano da tempo permeate da un simbolismo Ghibellino profondo e persistente: presente in tutte le loro architetture e costruzioni. In particolare, verso la fine del Quattrocento, Ivan III della dinastia dei Rurikidi, chiamò espressamente tali maestri in Russia. Infatti, i vari Kremlini da essi concepiti, progettati e diretti — incluso quello di Mosca — furono edificati secondo un disegno deliberato e consapevole di simbologia Ghibellina. Tale simbologia si manifestava nelle forme e nelle strutture architettoniche: (1) l’edificazione di torri, mura e simili secondo complessi tripartiti (su tre livelli); (2) l’uso della forma ottagonale di pianta e mura nelle torri e nelle fortificazioni rialzate e tendenti verso il cielo del potere temporale, forma emblematica tradizionalmente riservata alle chiese per significare un legame diretto con il divino, ma, assunta dai Ghibellini per le proprie torri e castelli; (3) l’ampio impiego del laterizio rosso (mattonato rosso), apprezzato non solo per la sua funzionalità costruttiva, bensì anche per il suo valore simbolico assunto in ambito Ghibellino; e (4), soprattutto, i celebri merli a coda di rondine, dalla caratteristica forma bifida, emblema paradigmatico e inequivocabile del Ghibellinismo (in forma, e per tecnica, di merlatura, ad esempio, nel Kremlino di Mosca, non differenti da quelli del Castello Visconteo di Pavia, o del Castello – già Visconteo – Sforzesco di Milano), ecc. Difatti, negli anni ’80 e ’90 del 1400, tali maestri, Solari e Ruffo, furono convocati a Mosca, recando con sé il patrimonio di sapere e di prassi maturato in due secoli di arti, architettura e simbolismo Ghibellini. Tali forme e rimandi possono essere osservati in varie costruzioni, ad esempio, nel Kremlino di Novgorod (parzialmente modificato in seguito), come anche in quello di Moscosa. Non a caso, l’impronta di tali Maestri delle Corporazioni delle Arti e dei Mestieri, provenienti da un tale e specifico retroterra, è ancora riconoscibile negli elementi simbolici da essi ideati e realizzati — sebbene tale riconoscimento presupponga che l’osservatore sia in possesso tanto delle chiavi ermeneutiche quanto della consapevolezza e conoscenza sapienziale necessarie a decifrarne il significato sapienziale e simbolico più profondo.
  2. Gli ultimi rappresentanti della dinastia dei Rurikidi — Ivan III, Vasilij III, Ivan IV e altri — proclamarono la propria discendenza dalla Gens Julia dell’antica Roma, il casato familiare di Giulio Cesare. Più precisamente, essi affermavano che il loro capostipite fosse nientemeno che un fratello di Ottaviano Augusto, figura da loro denominata Prus. In virtù di tale legame ancestrale, Prus veniva indicato quale fondatore di un ramo cadetto della Gens Julia, inscrivendo così la dinastia Rurikide all’interno dell’orizzonte genealogico e simbolico delle Gentes dell’aristocrazia romana (della Roma Antica). Dunque, in tale disegno, la casata dei Rurikidi era considerata una ramificazione cadetta della Gens Julia. Difatti, all’interno di questa narrazione, Prus veniva descritto come il presunto fratello gemello di Ottaviano Augusto, che regnò come Imperator a Roma a partire dal 27 a.C. al 14 d.C. Va anche osservato come si sosteneva inoltre che tale Prus fosse presente a Roma proprio in quell’epoca storica, radicando dunque la genealogia dei Rurikidi nel contesto vitale e coevo della “Roma Augustea”. Una simile narrazione non veniva proposta semplicemente quale leggenda, bensì come una rivendicazione di veritas, intesa e imposta quale fondamento di legittimazione: da loro sostenuto tanto a livello simbolico quanto come una verità concreta e reale nel gigantesco tomo titolato Libro dei Decreti Reali. Non a caso, essa mirava a connettere la potestas e la sovranità dei Rurikidi all’Imperium Romanum in quanto realtà trascendente — concepito non solo come ordinamento politico, ma come Unicum universale.
  3. In ultima istanza, i sovrani Rurikidi — in particolare Ivan III e suo figlio Vasilij III — cercarono attivamente di ottenere il titolo di Caesar (Zar) dall’Imperatore del Sacro Romano Impero. Tale istanza, reiterata nel corso di diversi decenni, culminò nel 1514, allorché Vasilij III venne implicitamente riconosciuto — con i titoli di Kayser (Caesar) e Imperator — da parte di Massimiliano I d’Asburgo, allora Augustus Sacro Romano Imperatore del Sacro Romano Impero. A partire da quel momento, la dinastia dei Rurikidi poté proclamarsi pubblicamente, politicamente, simbolicamente, e persino cerimonialmente Caesar et Imperator, in ogni luogo e verso ciascuno, per propria volontà e per diritto proprio — un diritto percepito come verticalmente e trascendentalmente sanzionato. Infatti, tale legittimazione veniva intesa come effetto di un’ordinanza divinamente istituita, formalmente conferita da Massimiliano I, il cui ruolo di Imperatore del Sacro Romano Impero rappresentava, secondo queste concezioni politico-spirituali, l’unico e autentico depositario dell’Imperium Romanum — inteso come realtà verticale, trascendente, connessa al numinoso divino e manifestata nella realtà sensibile. Dunque, da quel momento in poi, Vasilij III e, successivamente, Ivan IV ed i loro successori poterono rivendicare il possesso — tanto sul piano spirituale quanto su quello politico — di una partecipazione, seppur parziale o rifratta, alla manifestazione del Potere Universale dell’Imperium, nella misura in cui esso era stato loro conferito dall’Imperatore del Sacro Romano Impero.

In ogni caso, i punti sopra enumerati non rappresentano che una parte — per quanto tra le più rilevanti — degli elementi in questione. Occorre, inoltre, sottolineare come l’intera azione politica degli ultimi Rurikidi — dalla seconda metà del Quattrocento fino al 1598 — così come le loro strategie, le loro determinazioni, le loro direttrici ideologiche, la loro spiritualità, la loro filosofia politica e il loro linguaggio simbolico, riflettano con chiarezza la volontà deliberata d’introdurre in Russia un orientamento ispirato al Ghibellinismo (alla riattuazione nel presente della Romanità, come trascendenza spirituale). Non è dunque un caso se gli elementi testé elencati — 1, 2, 3 — costituiscono modi, ordines e spiritualitates, oltre che forme simboliche, di natura chiaramente e indubitabilmente Ghibellina.

Tuttavia, quando i Romanov assunsero definitivamente il potere nel 1613 — attraverso manovre di ascesa attuate gradualmente durante il cosiddetto Periodo dei Torbidi, iniziato nel 1598 — e per l’intera durata del loro dominio, a partire dal sovramenzionato 1613, e protrattosi sino al 1917, essi condannarono la precedente dinastia Rurikide, con particolare accanimento nei confronti dei suoi ultimi sovrani ispirati al Ghibellinismo, quali Ivan III, Vasilij III, Ivan IV e altri. Contro tali figure furono rivolte calunnie, accuse di pazzia e persino atti di damnatio memoriae. Non a caso, la dinastia dei Romanov, inoltre, procedette sistematicamente all’eradicazione di ogni iniziativa ed intrapresa ispirata al Ghibellinismo (ed alla Romanità) che era stata messa in opera dai loro predecessori Rurikidi. Così facendo, i Romanov, cancellando l’eredità politico-spirituale che aveva caratterizzato l’età immediatamente precedente alla loro ascesa.

Perciò, come ho già sostenuto, non nutro alcuna stima per la dinastia dei Romanov: essa fu corrotta, schiava del vizio, dedita alla perfidia e alla perpetuazione della corruzione, il tutto celato sotto il simulacro di una presunta e ostentata religiosità. In netto contrasto si staglia la figura dei Rurikidi — almeno degli ultimi tra essi, ossia Ivan III, Vasilij III, Ivan IV e i loro successori — i quali si adoperarono per istituire modi, ordines e spiritualitates ispirati al Ghibellinismo ed alla Romanitas. A costoro rivolgo ammirazione e rispetto, proprio perché tentarono di innestare in Russia un ordine superiore di governo, di filosofia e di simbolismo, fondato sull’eredità dell’Imperium — una forza verticale, numinosa, universale e trascendentale, da cui scaturiscono l’ordine politico e la sovranità, e mediante la quale essi si manifestano nella realtà storica.

Nonché, tuttavia, nonostante la mia profonda venerazione, tali progetti Rurikidi sono da lungo tempo soppressi, cancellati, vilipesi. Difatti, la loro visione Ghibellina fu annientata dall’usurpazione attuata da parte dei Romanov. La quale, nel suo trionfo, non estinse soltanto una dinastia, ma anche un intero ordine simbolico e spirituale che tale precedente dinastia aveva cercato di intraprendere ed attuare come loro grande opera. Non caso, gli ultimi dei Rurikidi dalla seconda metà del 1400 fino al 1598, avevano tentato di connettere la Russia all’Unicum universale di Roma. Pertanto, sul piano dello spirito, del governo, della filosofia politica, del simbolismo, e oltre, mi riconosco come un sincero e profondo ammiratore di tali ed ultimi Rurikidi: Ivan III, Vasilij III, Ivan IV e altri. Nonché, vorrei anche specificare come, tal ammirazione si fonda rigorosamente sul loro progetto filosofico–ideologico–spirituale, imperniato sull’istituzione di un ordine, di una politica, di una verticalità trascendente e di una spiritualità fortemente ispirati al Ghibellinismo — e a quella Romanitas da esso riattualizzata, mediante la quale essi cercarono di accedere, entro il proprio orizzonte storico, all’eredità tanto immortale quanto vivente di Roma.

Per contro, provo un profondo senso di repulsione nei confronti dei Romanov, i quali erano corrotti e ignobili, a causa di quanto compirono nei confronti dell’eredità dei Rurikidi e del progetto Ghibellino che essa finì per incarnave. I Romanov annientarono ogni realizzazione Ghibellina conseguita dagli ultimi Rurikidi; presentarono questi ultimi come folli; e condannarono tanto loro quanto il loro progetto alla calunnia e alla damnatio memoriae. In tal modo, i Romanov non si limitarono a cancellare una dinastia: essi sradicarono un intero ordine simbolico e spirituale, soffocarono un orientamento verticale e trascendente che mirava a riallacciare la Russia all’Imperium, e deliberatamente degenerarono la sua tradizione di verticalità.

Inoltre, in contrasto con gli scritti polemici, i saggi, i trattati e simili — di carattere politico, pseudo-politico, filosofico o storico-ideologico — taluni “maîtres à penser” hanno affermato, e ancora oggi affermano, proposizioni del tenore che «la Russia cadde» o che «la Russia fu corrotta» nel 1917, in conseguenza della Rivoluzione d’Ottobre. Ebbene, di fronte a tali asserzioni, da una prospettiva autenticamente Ghibellina occorre riconoscere, con onestà intellettuale, che simili affermazioni non siano soltanto false, ma manifestamente e irrimediabilmente false ed errate: vere e proprie distorsioni della verità, che oscurano, anziché rischiarare, la realtà storica e spirituale (e rigettano nell’oblio e nelle tenebre tutto quello che ne fu il correlato apparato simbolico).

Dunque, in conclusione, da una prospettiva autenticamente Ghibellina — manifestante e fondata sull’adesione alla più onesta e genuina verticalità — occorre osservare che la Russia fosse già caduta e come si fosse già corrotta nel periodo compreso tra il 1598 e il 1613, il cosidetto Periodo dei Torbidi, ossia pienamente tre secoli prima del 1917 e di Lenin. Perciò, fu infatti in quell’intervallo, tra il tramonto della dinastia Rurikide e l’ascesa dei Romanov (in cui si dispiegarono gli eventi che condussero al potere questi ultimi), in cui venne sconvolto, ribaltato, sovvertito, tutto l’impianto più propriamente tradizionale, a livello spirituale, simbolico, esoterico, da cui — solo di conseguenza — ne scaturiva anche una realtà politica. Dunque, conseguenza diretta dell’instaurazione dei Romanov fu la distruzione del precedente ordine che era invece ispirato al Ghibellinismo. Un progetto, una visione, ed una grande opera – non solo politica, ma anche simbolica e spirituale – che erano state intraprese dalla seconda metà del 1400 ed erano state proseguite sino al 1598 sotto gli ultimi Rurikidi, quali Ivan III, Vasilij III, Ivan IV e altri.

Pertanto, la vera catabasis della Russia non ebbe luogo nel 1917, bensì in quella frattura ben più remota: la conquista del potere da parte dei Romanov nel 1613. Fu in quel preciso momento — e non in seguito — che, a causa di tale usurpazione e della conseguente obliterazione dello slancio Ghibellino verso la verticalità numinosa, e di tutte l’ordine simbolico, spirituale, sapienziale – e politico – che esso comportava, la Russia cessò di partecipare all’alto retaggio dell’Imperium, sostituendolo con un simulacro profano — laddove la Sacralità, con la S maiuscola, fu sostituita in modo camuffato da una sua parodia mediante un’eccedente e strabordante “religiosità” — e con un potere reciso dalla sua autentica fonte numinosamente divina, quale fu quella Romana e Ghibellina, trascendente e tendente alla verticalità.

Osservazioni di Rimarcamento:

  1. È dunque fondato affermare che Maestri d’Arte appartenenti a Corporazioni delle Arti e dei Mestieri, quali Ruffo e Solari, d’orientamento dichiaratamente Ghibellino, furono espressamente convocati dai Ruriki, per progettare e innalzare Architetture (generalmente fortezze) profondamente permeate e intrinsecamente intrise di simbolismo Ghibellino?

, pienamente fondato affermare che Maestri d’Arte quali Marco Ruffo e Pietro Antonio Solari, esponenti di Corporazioni d’orientamento dichiaratamente Ghibellino, furono espressamente convocati dai Rurikidi per progettare e innalzare Architetture — in particolare fortezze come il Cremlino di Mosca — profondamente intrise di simbolismo Ghibellino, tanto nelle forme quanto nell’intenzione politica e spirituale.

  1. È veridico affermare che i Rurikidi sostennero — e non in forma leggendaria, ma bensì come verità storica e genealogica (ma con valore spirituale e simbolico) — di essere un ramo cadetto dell’Antica Gens Julia dell’Antica Roma, ovvero di quel nobile e sacro clan aristocratico cui appartennero Giulio Cesare e Ottaviano Augusto, dichiarandosi discendenti di un presunto fratello di quest’ultimo, da loro denominato Prus (e che ciò fu ufficialmente scritto nel loro Libro dei Decreti Reali)?

, è veridico affermare che i Rurikidi sostennero — come verità genealogica, spirituale e simbolica, e non come mera leggenda — di essere un ramo cadetto della Gens Julia romana, dichiarandosi discendenti di un presunto fratello di Ottaviano Augusto, da loro denominato Prus, e che tale discendenza fu ufficialmente codificata nel Libro dei Decreti Reali (Stepennaia Kniga).

  1. È veridico affermare che Ivan III, Rurikide, sposò una Paleologa, parente stretta degli ultimi Imperatori “Roman” — sebbene, di fatto, greci — di Costantinopoli (città caduta nel 1453)? Nonché, è dunque vero che Vasilij III essendo figlio di tale unione avesse tale sangue imperiale in sé?

, è veridico affermare che Ivan III, Rurikide, sposò Zoe (poi Sofia) Paleologa. Suo nonno era Manuel II, terzultimo Imperatore, ed i suoi zii erano Giovanni VIII, penultimo Imperatore, e Costantino XI, ultimo Imperatore. Nonché, da tale unione, tra Zoe/Sofia Paleologa ed Ivan III Rurike, nacque Vasilij III, il quale ereditò così, simbolicamente e genealogicamente, il sangue di quella dinastia imperiale bizantina caduta con la presa di Costantinopoli nel 1453.

  1. È corretto affermare che i Rurikidi — Ivan III e, in seguito, suo figlio Vasilij III — formularono per anni, e anzi per decenni, reiterate istanze al Sacro Romano Imperatore affinché fosse loro riconosciuto il titolo di Caesar (Tzar) ed Imperator, e che fu precisamente Vasilij III a ottenere tale riconoscimento nel 1514, da parte di Massimiliano I d’Asburgo, Augusto Imperatore del Sacro Romano Impero, considerato legittimo detentore, medium e manifestatore dell’Imperium Romanum?

, è corretto affermare che i Rurikidi — in particolare Ivan III e, successivamente, suo figlio Vasilij III — avanzarono per decenni istanze formali al Sacro Romano Imperatore affinché fosse loro riconosciuto il titolo di Caesar (Tzar) ed Imperator, e che tale riconoscimento fu effettivamente concesso nel 1514 da Massimiliano I d’Asburgo, legittimo Augusto Sacro Romano Imperatore del Sacro Romano Impero e custode del lascito trascendente dell’Imperium.

  1. È dunque legittimo affermare che — sebbene la teorizzazione sia complessa, con articolazioni e varianti che non è qui il caso di approfondire, volendo mantenerci nella concisione — furono precisamente questi ultimi Rurikidi, ovvero Ivan III, Vasilij III, Ivan IV e gli altri, a voler concepire Mosca quale “Terza Roma”, sulla base della teorizzazione della Translatio Imperii, e dunque del trasferimento verticale e provvidenziale dell’Imperium Romanum nel loro orizzonte storico e politico?

, è pienamente legittimo affermare che furono proprio gli ultimi Rurikidi — Ivan III, Vasilij III, Ivan IV e i loro successori — a concepire Mosca quale “Terza Roma”, fondando tale visione sulla dottrina della Translatio Imperii e dunque sull’idea di un trasferimento provvidenziale e verticale dell’Imperium Romanum nel proprio orizzonte storico, politico e spirituale.

  1. È dunque veridico affermare che questi ultimi Rurikidi — dalla seconda metà del 1400 sino al 1598 — intrapresero una vasta e consapevole opera simbolica, spirituale e politica, fondata sull’attualizzazione, o meglio sulla ri-attuazione, della Romanitas e del Ghibellinismo, nel tentativo di innestare nel corpo della Russia un ordine superiore ispirato alla canalizzazione e manifestazione dell’Imperium?

, è veridico affermare che gli ultimi Rurikidi — dalla seconda metà del Quattrocento sino al 1598 — promossero un’opera vasta, coerente e deliberata di natura simbolica, spirituale e politica, volta alla ri-attuazione della Romanitas e del Ghibellinismo, nel tentativo di innestare nel corpo storico della Russia un ordine superiore orientato alla ricezione e manifestazione verticale dell’Imperium.

  1. È veridico affermare che, nonostante la damnatio memoriae imposta dai Romanov, nella narrazione simbolico-comprensiva popolare — e in particolare nel corpus delle fiabe diffuse e sedimentate nel tessuto del popolo — permangano tracce, seppur trasposte in forma mitica o favolistica, di quell’ordine voluto dagli ultimi sovrani Rurikidi, quali Ivan IV, in cui si delinea una struttura di alleanza fra il Popolo e l’Imperator posto al vertice, contrapposta al corpo oligarchico e teocratico? E che tale impianto, pur tradotto in chiave narrativa popolare, rispecchi in profondità gli stessi presupposti teorici e spirituali presenti nei grandi testi del pensiero Ghibellino d’Occidente — come il Defensor Pacis di Marsilio da Padova — nonché in opere fortemente influenzate dal Ghibellinismo, quali Il Principe e i Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio di Machiavelli, od anche della Romanità quali il De Bello Gallico e Commentarii De Bello Civili di Cesare?

, è veridico affermare che, nonostante la damnatio memoriae orchestrata dai Romanov, nella narrazione simbolico-comprensiva popolare — in particolare nel corpus fiabesco profondamente radicato nel tessuto del popolo russo — si conservino tracce trasfigurate, ma strutturalmente riconoscibili, dell’ordine voluto dagli ultimi Rurikidi, come Ivan IV, in cui emerge una netta alleanza tra il Popolo e l’Imperator verticalmente posto al vertice, in opposizione al corpo oligarchico e teocratico; e che tale impianto, pur traslato in chiave mitico-popolare, rifletta con sorprendente coerenza gli assi fondativi del pensiero Ghibellino d’Occidente, quale quello espresso nel Defensor Pacis di Marsilio da Padova, come pure nelle opere di Machiavelli impregnate di tensione Ghibellina, quali Il Principe e i Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, ma anche gli scritti di Cesare.

  1. È corretto e veridico affermare che, con la presa del potere da parte dei Romanov nel 1613, la stragrande maggioranza della grande opera intrapresa dai Rurikidi — e dell’ordine tradizionale da essi instaurato — venne sistematicamente distrutta, obliterata e disconosciuta, e che i Romanov se ne distanziarono radicalmente, rigettandone non solo le forme esteriori ma anche, e soprattutto, le fondamenta spirituali, simboliche e politico-filosofiche?

, è corretto e veridico affermare che, con l’ascesa al potere dei Romanov nel 1613, la stragrande maggioranza dell’opera simbolica, spirituale e politico-filosofica intrapresa dai Rurikidi — e dell’ordine tradizionale da essi instaurato in ispirazione all’Imperium — fu sistematicamente distrutta, disconosciuta e cancellata, e che i Romanov se ne distanziarono radicalmente, rigettandone tanto le forme esteriori quanto, e soprattutto, le fondamenta più profonde, verticali e Ghibelline, spirituali e simboliche.

  1. È corretto e veridico affermare che i Romanov condannarono i Rurikidi a una vera e propria damnatio memoriae, accompagnata da sistematiche campagne di diffamazione — in cui furono accusati persino di pazzia — e che l’intera loro opera simbolica, spirituale e politico-filosofica inspirata al Ghibellinismo, fu deliberatamente condannata all’oblio e rimossa dalla memoria storica?

, è corretto e veridico affermare che i Romanov condannarono i Rurikidi a una damnatio memoriae organica e sistematica, accompagnata da campagne di diffamazione che li tacciarono di pazzia, instabilità e crudeltà, relegando all’oblio l’intera loro opera simbolica, spirituale e politico-filosofica ispirata al Ghibellinismo (ed alla Romanitas), la quale venne disarticolata nei suoi fondamenti, abbattuta, e rimossa dalla memoria storica ufficiale, in quanto portatrice di un ordine verticale, romano e imperiale, radicalmente inconciliabile con la visione dei nuovi dominatori: quest’ultima, dei Romanov, più teocratico-oligarchico-clericale, in cui il popolo è schiav, e la religione – a livello cognitivo/psicologico/sociale/politico – è l’“instrumentum regni” che permette che ciò sia instaurato ed imposto.

Conclusioni Essenziali e di Significato:

Il contrasto tra i Rurikidi e i Romanov non riguarda solo una transizione dinastica e politica, ma riflette un contrasto profondo e spirituale. Gli ultimi Rurikidi (dal 1462 al 1598), come Ivan III, Vasilij III e Ivan IV, ecc., intrapresero una grande opera simbolica ispirata alla verticalità Ghibellina e alla Romanitas, come manifestazione di un potere universale che trascendeva il tempo e lo spazio: l’Imperium. Al contrario, i Romanov, emersi dal Periodo dei Torbidi (1598-1613), al potere dal 1613 al 1917, stabilirono un potere centralizzato ed autocratico, alimentato dall’utilizzo politico della Chiesa Ortodossa. Con i Romanov la religione divenne un mezzo di controllo delle masse, annientandone lo spirito, obnubilandone l’anima, ed imprigionandone la mente. Il potere dei Romanov non era più un ordine simbolico-sacrale, ma una monarchia autocratica, cioè la decadenza dell’aristocrazia in tirannica oligarchia, una decadente parodia dell’Imperium.

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