martedì 14 Ottobre 2025

Restyling Medio Oriente

La pace firmata per Gaza

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La pace è scoppiata a Gaza?
Difficile sostenerlo dato che già il primo giorno l’Idf ha ucciso cinque palestinesi.
Si tratta solo di una tregua, come dicono in parecchi?
Probabilmente è più di una tregua, pur non assomigliando particolarmente alla pace.

In che consiste il piano per il futuro di Gaza?

Per iniziare, nel disarmo dei palestinesi e nell’esclusione di Hamas dalle istituzioni locali che dovrebbero essere gestite non da politici ma da tecnici.

Poi ci sono le grandi incognite

Vi sarà una Gaza International Transitional Authority, ovvero s’istituirà una sorta di riserva indiana non indipendente ma controllata da fuori? Si fa ripetutamente il nome di Tony Blair per presiederla.
Oppure si realizzerà uno Stato riconosciuto anche da Israele, ma a sovranità limitatissima, che verrà commissariato ai sauditi, con disappunto di altri pretendenti come gli egiziani?


In ogni caso la prigione collettiva palestinese, quale che sia la sua forma ufficiale, verrà commissariata ad alleati arabi di Tel Aviv e avrà come interlocutrici propagandiste le sinistre ormai inquadrate in quell’ Islamogauchisme inventato da Mélenchon in Francia e adattatesi di slancio al ruolo di puntello buffonesco degli equilibri grazie al dualismo astratto e inconcludente.

Non otterranno niente per la Palestina, questi suoi interlocutori, ma renderanno più agevole il compito di strategia della tensione qui da noi, coccolando e incoraggiando lo jihadismo di rimbalzo, di cui saranno complici nella loro consueta propensione al tradimento.

In questo quadro si determinerà il futuro gramo dei palestinesi

in modo terribilmente simile a quanto ipotizzammo fin dall’autunno del 2023, quando leggemmo tutto quello che stava accadendo nella logica della ristrutturazione economica ed energetica, frutto della trasformazione di Israele in potenza del gas, a partire dal 2018 e in hub arabo/israeliano.

Questo ha permesso di disegnare un piano per risolvere una lunga serie di questioni. Dall’apertura delle strade verso la Grande Israele – in particolare con le offensive in Cisgiordania e in Libano – fino alla regolamentazione dell’eccessivo frazionamento di influenze e finanziamenti per i pupazzi sanguinari di Hamas che si erano rivelati il miglior elemento a servizio della causa israeliana e i peggiori nemici della Palestina. Ma questo lo sapevamo da trent’anni.

In tutta questa storia le voci islamiche in difesa di Gaza sono state abbastanza poche e lontane

(Turchia, Algeria, Pakistan), mentre la gran parte delle nazioni arabe hanno sostenuto Israele anche militarmente, financo partecipando alla sua contraerea.
Alla fin fine i soli ad aiutare i palestinesi sono stati gli europei e in modo inversamente proporzionale rispetto alle dichiarazioni pubbliche. A detta delle autorità palestinesi e, con riconoscimento israeliano, chi ha fatto di più, infatti, è l’Italia.

La pace sarà formale perché lì ci si continuerà ad ammazzare come sempre. Intanto si avrà il mega business della ricostruzione, come in Ucraìna: Hamas e Putin al servizio oggettivo di Black Rock et similia.

Da tutta questa vicenda esce alla grande Donald Trump, non tanto perché sarebbe riuscito a fare la pace, ma perché ha messo ovunque la propria firma e confermato platealmente il ruolo di arbitro per gli americani nell’intera zona.


Gli sconfitti assoluti nell’area sono gli iraniani

ovvero quelli che per anni hanno svolto lo stesso ruolo distruttivo per il mondo arabo e per il Medio Oriente che localmente ha svolto Hamas.
Che Teheran e Hamas siano in gravi difficoltà è comunque un fatto positivo. Prima o poi si paga il conto quando si lavora cinicamente per gli altri e si distrugge quello che altri avevano costruito per anni.
Pensare di diventare grandi minando e assassinando i propri, sapendo che questo fa comodo a chi ha maggior potere, è un’arte di miserabili e funziona, sì, ma solo per quelli che lasciano fare.
Agire in questo modo porta sempre al disastro, ed è giusto che sia così.

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