sabato 20 Luglio 2024

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Obama continua ad intromettersi tra Europa e Russia

Sono passati venti anni dalla caduta del muro di Berlino e dalla fine della guerra fredda tra Stati Uniti e quella che fu l’Unione Sovietica. Due decenni durante i quali le generazioni al potere a Washington come a Mosca non sono riuscite a scrollarsi definitivamente di dosso la polvere di quelle macerie.

Il mondo, fino a quel momento congelato nei suoi assetti geopolitici, ha assistito attonito al suo molto spesso drammatico rimodellamento. Il vincitore ha iniziato a percepire la neonata Federazione Russa come una terra di conquista che mai avrebbe potuto e dovuto tornare a contare nel mondo.

Nonostante le promesse che il braccio armato dell’Occidente mai si sarebbe spinto a ridosso dei confini russi, la Nato prese ad allargarsi proprio ad Est, in quei paesi già coperti dall’ombrello comunista. Un’espansione costante diretta anche verso territori che Mosca ha sempre considerato di propria esclusiva influenza come Ucraina e Georgia, dove il terreno era stato preparato dalle non molto spontanee rivoluzioni arancioni.

Dopo aver appoggiato la politica eltsiniana di smembramento e vendita dell’ex impero sovietico,  la  leadership americana ha lasciato (senza alzare troppo la voce) che i carri armati di Mosca radessero al suolo una Cecenia desiderosa di indipendenza e, soprattutto, ha tentato in ogni modo di sottrarre alla Russia il bene più prezioso: il tesoro energetico. 

Il tutto mentre l’ex presidente americano Bush rispondeva con un grazie pronunciato a denti stretti alla proposta di aiuto lanciata dal Cremlino dopo gli attacchi dell’11 settembre e metteva al primo posto della sua agenda il dispiegamento di uno scudo antimissile nelle ex alleate russe Polonia e Repubblica Ceca. 

Questo atteggiamento da vincitore poco lungimirante ha fatto scendere e di molto la fiducia che soprattutto il popolo russo aveva riposto negli Stati Uniti dopo la caduta dell’Urss. E di conseguenza ha fatto tornare a livelli di sovietica memoria l’antiamericanismo russo oggi anche depurato da ogni riferimento ideologico.

Se il presidente Obama è  veramente intenzionato a costruire con Mosca un saldo e paritetico legame strategico, dovrà prima di tutto ridisegnare agli occhi dei russi un’immagine del suo paese diversa da quella proposta dai precedenti inquilini della Casa Bianca. Dovrà riaccendere la fiducia dei russi  verso il grande ex-nemico dal quale i più erano stati ben contenti di essere stati sconfitti.  

Obama dovrà iniziare a percepire la Federazione Russa come una potenza la cui influenza e interessi non si fermano ai suoi confini. Un paese che non è stato abbandonato da tutti gli Stati che lo circondano e con i quali possiede legami e rapporti molto profondi.

Il leader americano dovrà  curare le ferite che i suoi predecessori hanno inflitto ad un paese e ad un popolo che per estensione e posizione geografica, storia e passione si è sempre considerato un impero. Dovrà farsi conoscere meglio se, come riportato da un recente sondaggio realizzato dal Vtsiom, solo il 5% degli intervistati sa della sua propensione amichevole verso la Russia e ben il 36% lo considera con indifferenza. 

Per tornare a contare oltre cortina Obama dovrà anche diluire il terrore da accerchiamento che i  russi provano ogni qualvolta un esercito avversario si approssima ai confini della Federazione. Dovrà dunque bloccare i blindati dell’Alleanza Atlantica che spingono per entrare a Tbilisi e a Kiev. E limitare i bruschi movimenti di leader come quello georgiano, sicuro dell’appoggio militare a stelle e strisce in una non molto lontana nuova guerra contro Mosca.

Dopo le parole di Obama a difesa dell’integrità territoriale della Georgia e del pieno appoggio americano al paese ex-sovietico, il presidente Saakashvili ne è  sempre più convinto: “sapremo integrarci nel mondo occidentale e in Europa”, ha esultato il presidente caucasico, aggiungendo che “la Georgia diventerà forte” e che insieme ai nuovi amici sarà “in grado di liberare il paese da chi lo occupa.”

Ma davvero Saakashivili pensa che gli alleati atlantici vorranno combattere per riunire l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud a Tbilisi? Uomo di Bush, il presidente georgiano potrebbe invece non rientrare nei piani obamiani per il Caucaso. E siamo sicuri che la sua testa non sia stata oggetto di trattativa tra le leadership russa e americana?

Siamo sicuri, infine, che non abbia ragione il noto analista russo Vitalij Tretjakov a suggerire al presidente americano di proporre al collega Medvedev una trionfale entrata della Russia nella Nato? In questo modo Mosca sarebbe integrata e molto nel sistema occidentale. I suoi timori legati al problema della sicurezza nazionale sarebbero in parte risolti. L’ostacolo dello scudo antimissile cadrebbe da solo, con Saakashvili e il dossier ucraino cancellati con un tratto di penna. E poi la Nato arriverebbe fino al Pacifico, ai confini con il vero antagonista di Washington (e del Cremlino): Pechino.

Ma la proposta/provocazione dell’esperto giornalista moscovita resta relegata ad idea fantageopolitica. Mentre tanto fantastici non sono i legami economici tra Russia e Stati Uniti. A descriverli nel dettaglio un articolo molto accurato della Deutsche Bank Research che nel loro miglioramento intravede una concreta possibilità di sviluppo delle relazioni politiche tra i due paesi..

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