venerdì 19 Luglio 2024

L’illusionista

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da illudere: così il Presidente che prova a farci credere che Berlusconi stia avvilendo il Parlamento


C’è un solo precedente nella storia repubblicana di rinvio alle Camere di una legge di conversione di un decreto. Il caso è del marzo del 2002 e riguarda un decreto per fronteggiare il morbo della mucca pazza: Capo dello Stato era Carlo Azeglio Ciampi. Anche allora il governo (Berlusconi II) inserì durante l’iter parlamentare una norma disomogenea (si trattava addirittura della proroga di un termine già scaduto per l’esercizio di una delega legislativa). Ma ci fu una circostanza che agevolò in quell’occasione il rifiuto da parte di Ciampi: l’aumento della diffusione del morbo diede il pretesto per il varo di un nuovo decreto-legge che in parte recuperò le norme del decreto cancellato. Perché il “ricatto” a cui il presidente della Repubblica viene sottoposto in questi casi è esattamente questo: a differenza di una legge ordinaria, il rinvio di una legge di conversione diventa una bocciatura definitiva per il decreto. Trascorsi insomma i 60 giorni dall’emanazione, cadrebbe per sempre. E, a maggior ragione dopo la sentenza del ’96 della Consulta che ha posto fine alla reiterazione dei decreti, il Parlamento potrebbe più riesaminare il testo rinviato dal Quirinale (come invece prevede l’art. 74 della Costituzione).
La lettera di Giorgio Napolitano di ieri contiene un vero e proprio allarme per il rischio che “si alterino gli equilibri istituzionali”. La denunciata compressione dei poteri del presidente della Repubblica e del Parlamento va ben oltre la delicata questione del potere di rinvio. Il Capo dello Stato segnala, ad esempio, il vulnus di un decreto che viene prima emanato in un testo dal Quirinale e poi cambiato dal governo in Parlamento utilizzando lo strumento d’urgenza ma eludendo così i poteri presidenziali di controllo. E ricorda anche che le Camere sono strangolate dalla sequenza decreto, maxi-emendamento, fiducia che di fatto limita le prerogative dei singoli parlamentari. (Su questi temi peraltro Napolitano aveva già scritto a Berlusconi, Schifani e Fini nel giugno 2008 e nell’aprile 2009, e risulta evidente un più generale timore circa il ruolo e l’autonomia del Parlamento). Tuttavia è sul potere di rinvio delle leggi che il Capo dello Stato si sofferma stavolta in special modo. Anche lanciando un appello per una revisione costituzionale che sciolga la contraddizione insanabile.
Due sono le opzioni suggerite da Napolitano. La prima riguarda la possibilità di prevedere un rinvio parziale della legge (di tutte le leggi o solo di quelle di revisione). Questa possibilità oggi è esclusa. Il presidente scrive esplicitamente che, se avesse potuto, avrebbe cancellato alcune parti (disomogenee) del decreto incentivi aggiunte dopo la sua firma. E’ questo un dibattito già aperto da tempo tra i costituzionalisti (il senatore Stefano Ceccanti, Pd, ha anche depositato un progetto in tal senso). Ma certo una simile scelta porrebbe dei seri limiti alla prassi degli ultimi anni.
Napolitano comunque formula anche un’altra ipotesi: si preveda, in caso di rinvio di una legge di conversione, del prolungamento dei termini di approvazione dei decreti. In altre parole, le Camere potrebbero avere 30 o 60 giorni in più per il riesame, senza che il decreto iniziale decada con effetti retroattivi.
Ci fa credere che le Camere siano minacciate: illusionista!

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