In mezzo alle truppe narcos che assediano le enclavi serbe
‘Diario dal Kosovo’, Gianluca Iannone racconta la missione de l’Uomo libero onlus e di CasaPound Italia nella ex Jugoslavia
II puntata, Kosovoska Mitrovika
Sono piu di dieci ore che siamo in automobile. Ste’ non ha voluto il cambio: è da Belgrado che guida in queste strade tutte uguali in direzione Kosovoska Mitrovika. Ci siamo fermati un’oretta per mangiare. Un posto assurdo nel bel mezzo di un grande abbandono: un bar&ristorante spuntato dal nulla mentre percorrevamo questa vasta e brulla pianura. E’ del tutto spoglio: fuori quattro colonne in cartongesso che reggono una tettoia di ferro, all’interno mobili di finto legno pressato e sedie di ferro pesante. Entriamo e ci viene incontro una signora dai capelli nerissimi che con un sorriso logoro ci invita a sederci. In fondo alla sala c’è quello che dovrebbe essere il marito. Neanche ci degna di uno sguardo, intento com’è a fissare la televisione e i suoi film dalla fotografia anni ’60. Mangiamo il piatto tipico del posto, il Meso, che è un insieme di pezzi di carne di maiale, pollo e qualcos’altro non ben identificato cotto alla brace e servito con le patate fritte. Quando paghiamo e facciamo per uscire la signora ci sommerge di biglietti da visita. ”Sì, certo, torneremo”, pensiamo, e sorridiamo mentre l’automobile riparte verso la meta.
Ore e ore di viaggio, di sonnecchianti spostamenti di testa, di battute irriverenti e di sigarette fumate guardando il paesaggio. Siamo partiti questa mattina alle 9.15 dall’albergo di Belgrado e adesso che sono le 18 ci troviamo in fila a quello che gli albanesi kosovari chiamano la dogana e che i serbi e i serbi kosovari chiamano la linea amministrativa. Le parole sono sempre importanti e in una situazione del genere assumono l’importanza politica e culturale dell’appartenenza e del diritto. I serbi infatti non accettano – e a ragione – l’indipendenza del Kosovo albanese proprio perché la vedono come una prevaricazione, un’enorme ingiustizia orchestrata dagli Stati Uniti per immettersi in modo strategico e definitivo in un punto fondamentale di scambio e di controllo nel cuore dell’Europa, utilizzando un governo fantoccio di terroristi e banditi. Il suo capo, Hasim Tachi, è soprannominato IL SERPENTE, dal nome di battaglia usato durante la pantomima criminale dell’Uck.
Lungo il viaggio abbiamo fatto una piccola deviazione per visitare il monastero di Studenica, straordinario esempio di architettura medievale, celebre per le pareti in marmo bianco liscio della chiesa principale. Pochi chilometri dopo ecco il controllo passaporti… ”Siamo dei cultori delle abbazie e dei monasteri che si trovano in zona. Siamo in Kosovo per turismo”. Il soldato della K-for che ci ha chiesto il motivo della visita ci dice di accostare. Parla perfettamente italiano, è del contingente maltese, ha la barba e un passamontagna nero arrotolato sopra la fronte. ”Andate diritti verso Mitrovika, non vi fermate per nessun motivo al mondo, tenete chiusi i finestrini e non parlate con nessuno, ci sono in giro banditi albanesi che attaccano i turisti”, ci spiega. ”Va bene grazie”.
Rispondiamo, ringraziamo e ripartiamo.
Appena arrivati in città ci accorgiamo immediatamente della naturale diffidenza della popolazione. Alla richiesta di informazioni la gente non risponde male, solo ti guarda come se avessi detto o chiesto la cosa più terribile del mondo, si gira e se ne va. ”Devono essere molto incazzati in questa città”, penso tra me. E infatti Kosovoska Mitrovika è una città unica nel suo genere. E’ perfettamente spaccata a metà: a nord ci sono i serbi, a sud gli albanesi. E sapete la cosa che più di tutto mi ha colpito? Che a simbolo di questa divisione non c’è un muro, una trincea, un pullman incendiato messo di traverso, o una cortina. C’è un ponte.
Controllato 24 ore al giorno dai jeeponi dei soldati greci della K-for e dai pickup di Eulex, la missione europea per il ripristino del diritto e della legalità in Kosovo, questo simbolo dell’attraversare, dell’andare incontro, dell’unire è in realtà l’emblema della divisione profonda e irricucibile di due comunità: di qua i serbi con le loro bandiere, i loro caratteri, le loro croci ortodosse, di là gli albanesi con i loro simboli. Intorno, un mare di automobili senza targa. E sì perché se una macchina con targa serba va dall’altra parte del ponte viene crivellata di colpi e la stessa cosa accade se ad attraversare è una vettura con targa albanese. E a sparare non sono soldati regolari ma i cittadini, che mai hanno deposto le armi. Né da una parte né dall’altra.Togliere la targa è la soluzione più semplice per evitare problemi. Così può capitare di vedere all’imbocco del ponte un tassinaro – che la targa la deve avere per forza – scendere dal suo mezzo, svitare la targa albanese, montare quella serba e attraversare il ponte. Benedetto lavoro.
La giornata – molto stancante – si conclude con l’incontro con la nostra guida, che domani ci porterà in giro per vedere le prime enclavi. Appuntamento alle 7,30 di mattina, rientro previsto alle 20 di sera. Un’altra bella giornata sta per iniziare.