I combattimenti non sono finiti in Libia eppure il mare di oro nero e di gas è pronto a scorrere di nuovo.
I ribelli sono molto disponibili nei confronti della grande coalizione dei “Volontari”, il cartello dei paesi europei che ha armato il conflitto.
E la conquista di Tripoli ha avviato la vera partita che si sta giocando in Libia.
Prima della guerra, il Paese produceva 1,6 milioni di barili di petrolio al giorno, circa il 2% della produzione mondiale, ma il suo potenziale è molto superiore. La Libia possiede la prima riserva africana di oro nero, che si stima si aggiri intorno ai 44 miliardi di barili. Una ricchezza non sfruttata. Prima del conflitto, la Libia rappresentava il 4° produttore e esportatore africano.
L’85% della produzione era destinata all’Europa.
L’Eni è il gruppo straniero numero uno e non ha nessuna intenzione di cedere la posizione. I contratti libici sono pari al 13% del suo fatturato.
Come ha dichiarato dal ministro degli Esteri italiano Franco Frattini: «I tecnici dell’Eni stanno già lavorando con gli insorti libici per riattivare gli impianti di petrolio e gas e il gruppo italiano avrà un futuro di primo piano nel settore energetico della Libia».
Aver scommesso sugli insorti all’inizio del conflitto ha reso molto più facile gli affari in Libia per la Francia. Che oggi risulta essere il secondo importatore di greggio dalla Libia, subito dopo l’Italia.
La Total, che aveva iniziato il piano d’ampliamento nel Paese africano nel 2008, potrebbe vedersi attribuire il 35% dei nuovi contratti.
Sui blocchi di partenza troviamo anche la Qatar petroleum, la svizzera Vitol, la britannica Bp, l’austriaca OMV, l’anglo-olandese Shell e l’americana Conocophilips.
Fuori dal gioco restano Cina e Russia che pagano il pegno della propria astensione al Consiglio di sicurezza dell’Onu, per il voto che in marzo ha legittimato l’intervento Nato.
(Qui però i partigiani cirenaici hanno smentito la previsione che stiamo pubblicando. Fedeli all’accordo sino-americano sulla spartizione dell’Africa, hanno infatti aperto a Pechino restando invece freddi con Mosca).
Ci vorranno due anni per ritornare ai vecchi livelli di produzione, per gli esperti. Per la spartizione dei dividendi le democrazie occidentali dovranno attendere.
Oggi la priorità è rimettere in moto la macchina a petrolio e gas e ricostruire il Paese.
Il che significa investimenti miliardari. Anche questa una partita tutt’altro che secondaria per tutti gli attori in gioco.
Duplex Jan Randolph, IHS Global Insight