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A braccetto con la reazione

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Come porsi nei confronti di Salvini, di Marine Le Pen e compagnia cantante

L’altro giorno ho criticato la scelta poco ambiziosa di Salvini di allearsi al centrosud con una manica di trombati incapacitanti, probabilmente a causa di un’insufficiente fiducia nel proprio personale carisma. Ne è nato un dibattito non propriamente circoscritto, il quale, more solito, è andato un po’ in tutte le direzioni eccetto le essenziali. Da questo dibattito sono nati però degli spunti interessanti che vado a riprendere, dopo aver ribadito quello che realmente ho inteso dire nell’articolo. E cioè:

1. Salvini è il soggetto populista di oggi e non se ne può non tenere conto. Se i criteri sono politici, con lui ci si deve rapportare. Come rapportarsi dipende dalle valutazioni: sostenendolo, andandogli dietro, affiancandolo, aggredendolo in pressing, muovendosi a strappi, contrastandolo, sfidandolo: fate vobis.

2. Il raggio di azione e di consenso di Salvini, specie dopo l’alleanza con gli elefanti del cimitero, è tra un terzo e la metà di quello berlusconiano: siamo quindi in presenza di un fenomeno minore, per quantità, qualità e portata d’azione, rispetto a Berlusconi. Ma tant’è: i falliti della destra 22 anni dopo proveranno a cavalcare l’unico cavallo che c’è.

A questo punto ho suggerito che qualsiasi azione si compia in rapporto con Salvini (ovvero in qualsiasi dei posizionamenti più su espressi) vada incentrato sulla battaglia allo Ius Soli e sull’immigrazione, debba volgere alla costituzione del contropotere, non si debba far distrarre da sirene elettoralistiche tecnicamente impossibili e, soprattutto, debba qualificarsi ideologicamente perché, dicevo, bisogna fascistizzare le destre europee invece di farsi sfascistizzare da loro come invece accade.
Le destre populiste europee sono catalizzatrici di una psicologia reazionaria che, la storia insegna senza alcuna eccezione, è portatrice di fallimenti cocenti e propedeutica sempre alle accelerazioni della finanza che pure vorrebbe contestare. Lo è sempre, meno quando alla sua testa si pone una dirigenza rivoluzionaria che indirizza la psicologia a rettifica (cesarismo, bonapartismo, fascismo ecc).
Ho concluso con una provocazione dialettica, non poi così infondata: la necessità di assumere una mentalità evoleninista: ovvero idea del mondo evoliana e metodologia politica scientifica.

Lenin
Sulla mia bacheca Carlo Breschi per sostenere la causa di Sovranità – che non era l’oggetto delle mie argomentazioni se non, eventualmente, in modo indiretto, per via di una riflessione generale e molto più vasta – ha citato il Lenin di Che fare “Se è necessario unirsi fate accordi allo scopo di raggiungere i fini pratici del movimento, ma non fate commercio dei princípi e non fate concessioni teoriche”.
Di qui lo spunto per mettere il dito sulla piaga del postfascismo in generale: è appunto l’opposto che nella cosiddetta area sta accadendo da quasi trent’anni e che ciò avviene per un duplice innamoramento: della psiche reazionaria e fondamentalista (generalmente ultracattolica e wasp) e della forma mentis democratica.
Soprassediamo sui princípi, dei quali quotidianamente non si fa commercio ma svendita al ribasso, ma in quanto alle concezioni teoriche, vogliamo parlarne? Con la scusa che discorsi demagogici trinariciuti paghino presto e bene, ovvero che forniscano la scorciatoia a chi non se la sente di lavorare su di sé e sugli altri, si è cominciato a mandare in soffitta tutto l’ideale e l’immaginario del fascismo, del nazionalismo rivoluzionario e del neofascismo per approdare alle nevrosi fobiche dei bottegai frustrati. Perché questo pagherebbe… Non dico che non si debba cavalcare ma indirizzandolo e non invece facendosi deviare.

L’idea e la forza
L’idea-forza è semplice e non è trattabile, non la si può, come direbbe Lenin, concedere. Essa è assialità virile, visione eroica della vita, affermazione dell’autonomia, realizzazione sociale, riconquista corporativa, nazionalismo rivoluzionario, difesa e contrattacco nella guerra che continua, edificazione dell’Europa Nazione.
Non si parla di un programma da vedere poi come proporre al momento propizio, ma di una cosa da affermare sempre, senza transigere e senza alcuna concessione dialettica: imponendosi come minoranza organizzata e vincente nei confronti e nelle cooperazioni con le reazioni populiste, alle quali non si deve sacrificare mai nulla di fascista e di rivoluzionario.
Però a farlo saremo in pochissimi. Perché dico questo? Perché parliamo di un ambiente zeppo di persone che si fingono sicure, che sono piene di sé, che trasudano alterigia ma che sono molto carenti di personalità. Se negli anni di piombo in troppi hanno acquisito i codici comportamentali degli ubriachi di malavita, poi, frequentando gli stadi, quelli degli ultrà, finiti in politica hanno mimato i portaborse, come pensare che oggi, affiancando i reazionari refrattari, invece di porsi alla loro guida, i più non si faranno pecore nel gregge? E i belati purtroppo si sprecano e si mischiano ai ragli degli asini.

Il caotico pensiero reazionario
L’immaginario politico della reazione populista è incapacitante, confuso, contraddittorio, piuttosto stupido ed è indirizzato contro i nostri stessi interessi vitali. Tuttavia, un po’ per l’infarinatura del fondamentalismo religioso che ci ha bombardati per anni abituandoci a travisare la realtà, un po’ perché abbandonarsi alla speranza conforta chi vive in accidia, ecco che lo si sposa acriticamente.
Così anziché puntare alla rivoluzione (che significa il mutamento dei rapporti di forza nel reale), alla nazionalizzazione delle Banche Nazionali che emettono l’Euro, quindi automaticamente della Bce, anziché spingere verso più Europa e meno democrazia, ma più partecipazione e ricreazione del tessuto sociale e dell’alternativa corporativa, si accetta la scorciatoia euroscettica. E nell’attaccare l’Euro, fingendo di non vedere che ha creato incubi in Usa e in Inghilterra, si punta il dito contro l’unico centro di potere europeo, Berlino, senza nemmeno accorgersi che è il solo che sia commercialmente che politicamente che energeticamente che nella rete che nell’aerospaziale, propone un’emancipazione dagli Usa, oltre a rappresentare l’elemento centrale per la rinascita europea. E che proprio contro Berlino muovono oggi Washington e Londra. La reazione populista, insomma, si lascia trascinare nel partito wasp e nello smantellamento europeo, ponendosi in posizione oggettivamente e fortemente antifascista, visto che si fa prosecutrice della guerra di civiltà e di etnia e lo fa nel campo del nemico.
Non è questa l’Europa che vogliamo? Lo sappiamo, ma non é questa l’Italia né il mondo che ci piacciono: ed è solo sulla falsariga di quello che è espressione storica del nostro dna che si può agire per fare rivoluzione, altrimenti si fa come i nobilastri dei primi del XIX secolo che chiedono ai banchieri inglesi di liberarli dalla nuova Francia. Con i risultati che ben conosciamo, visto che i Rothschild, combattuti da Napoleone, li nobilitarono poi loro… Nihil sub sole novum!

Strumento del nemico
La psicologia reazionaria, finché non vi s’intervenga, è quindi utilizzata dal nemico. 
Già questo dovrebbe esser sufficiente ma c’è di più, direi che ce n’è abbastanza per mettere in moto lo spirito critico in chi possegga anche un solo neurone, a patto che abbia un minimo di rispetto di se stesso. Accogliendo la psicologia reazionaria e facendola propria con le sue parole d’ordine, non soltanto ci si schiera dietro coloro che mossero e muovono guerra all’Europa ma si finisce con il fare propri dei canoni mortificanti e contraddittori da brividi.

Nazionalismi
Prendiamo il nazionalismo: in nome di esso e del ritorno a un passato che poi fu democristiano, si osteggia l’Europa e ogni sua vocazione imperiale; poi però, in nome dell’impero degli altri si pretende che ad est i nazionalismi si facciano da parte.
Il nazionalismo va bene contro l’Europa unita e va male ad est. Come per una legge del contrappasso, l’unica costante è che ci si ritrova schierati ancora e sempre dalla parte di chi invase l’Europa: a ovest con gli angloamericani e a est con i russi… I quali, correttamente dal loro punto di vista, continuano a deporre corone ai caduti della guerra contro di noi e a scrivere leggi che impediscono di parlar bene dei nostri eserciti e noi a battere le mani!
Eppure si potrebbe agire per altri fini: un’Europa forte che abbia relazioni positive, privilegiate forse anche strutturali con la Russia. Però serve, per ragionare così, una centratura, non un immaginario messianico hollywoodiano con tanto di salvatore esterno dell’ultimo minuto. Ma sembra proprio che oltre al fatto di essere fascisti ci si sia dimenticato di essere indoeuropei, di vivere e ragionare da signori di sé e non come coloro che attendono la manna.

Scontri di civiltà
E che dire dello “scontro di civiltà”? Quello costruito in laboratorio dal Pentagono che, insieme alla Grande Scacchiera di Brzezinski e al Rapporto Cheney, sta contrassegnando la strategia imperialistica americana dei nostri giorni? Bisogna disinnescarlo per un’azione che, sulla base di una forte Europa e di una cooperazione a est e a sud, si farebbe ricreatrice di civiltà e di produzione. Accettare quello schema, foss’anche solo per il miraggio di qualche voto facile facile, è demenziale. E cosa fanno invece le destre reazionarie populiste? Non si limitano ad accettare lo schema che dovrebbero rifiutare ma lo adattano in modo schizoide. A est nello scontro tra ortodossi e cattolici, invece di pacificare, sostengono gli ortodossi e a sud, ovvero dove ci troviamo, invece di contrattaccare vogliono che i cattolici combattano i musulmani. Ma come funziona? Perché lo schema da una parte lo si prende confezionato così com’è e dall’altra lo si capovolge? Sempre perché la patologia dell’attesa della manna e il calcolo piccolo piccolo dell’interesse di bottega (nello specifico leggi i rubli) consentono capriole disinvolte nella scelta di campo che comunque è sbagliata.

Stato e bottega
E lo Stato? Tralasciamo la mancata attualizzazione analitica e critica e dunque la non-corrispondenza dei concetti espressi rispetto alla realtà modificatasi in epoca di globalizzazione, di satelliti, di esplosioni demografiche e di estensioni geografiche. Non pretendiamo troppo, non chiediamo loro di giungere a tanto. Ma questo Stato nell’ottica del populismo reazionario deve fare un passo indietro sulle tasse e uno avanti sul protezionismo. Irrealismo a parte di questa proposta, cosa diventa lo Stato in quest’ottica se non un ente al servizio non del popolo, non di un sistema sociale, non di una rivoluzione corporativa, ma del singolo interesse bottegaio? Ammesso che possa sussistere oggi uno Stato Nazionale, dovrebbe operare per una ri-socializzazione corporativa e per insegnare ai suoi cittadini, ivi compresi i capitalisti italiani che in questo sono disperanti, a far sistema nelle sfide intercontinentali e non invece schierarsi, a danno della potenza europea e quindi della nostra comune sopravvivenza, per consentire a un individualista bottegaio Rossin di vendere un po’ più di un bottegaio Meyer o Martin, anche a discapito delle economie familiari italiane, dei costi energetici e del manifatturato: e tutto ciò per favorire il suddetto Rossin solo in attesa che i pachistani o chi per loro facciano un sol boccone dei nostri bottegai non organizzati a sistema ma prigionieri di schemi concorrenziali del passato.

Galleggiamenti e tempeste
Quando dico che con Salvini sono d’accordo sulla negazione dello Ius Soli e parzialmente sull’immigrazione e forse nient’altro è perché tutto quello in cui sarei eventualmente in sintonia resta impigliato in questa rete di psicologia reazionaria e inquinato dalla sua ideologia che è profondamente antifascista, non nelle affermazioni o nelle esternazioni (tutt’altro) ma nell’ontologia, nella programmazione cellulare dell’intero impianto.
Il che, lo ribadisco, non significa una condanna per Salvini o per Marine Le Pen e chi cavolo vogliate voi né l’appello a una crociata contraria. Anzi! La necessità assoluta che evoco è quella di colmare le differenze rispetto alla reazione popolare mediante l’intervento di una minoranza organizzata e d’avanguardia che sia contemporaneamente in grado di fare contropotere e rivoluzione culturale per recuperare e re-indirizzare la psicologia reazionaria, esattamente come avvenne un secolo fa. Concordo con Lenin: “Se è necessario unirsi fate accordi allo scopo di raggiungere i fini pratici del movimento, ma non fate commercio dei princípi e non fate concessioni teoriche”.
Ebbene, visto che in qualche caso non abbiamo motivo di dubitare degli intenti, il mio invito a tutti è quello di lasciare le cose un po’ meno implicite. I princípi devono essere affermati e vissuti, il che implica che comportamenti di adeguamento politicante non si possono tenere perché è fondamentale differenziarsi in particolare nell’impersonalità. E le concessioni teoriche poi non vanno assolutamente fatte, neppure nelle omissioni. Il che significa che tutto quanto ho appena esposto non può essere implicito o non-detto ma deve diventare la bandiera caratterizzante in qualsiasi confronto positivo a costo d’imporre un’altra lingua (“non parlarmi nella lingua che non parlo”).
Bisogna marcare e sottolineare la differenza strategica e qualitativa.
Questa differenza non è lecito spacciarla tra di noi – con sindrome alleanzina – come un peso rispetto al pragmatismo o come qualcosa di acquisito da mettere in cassaforte: non si vince prima e si rivoluziona poi. Vent’anni e più di postfascismo incentrati su queste convinzioni e sulla derisione di chi restava ancorato a qualcosa che, in quanto dura da mettere in piedi, veniva spacciata per inattuale o irreale, hanno dimostrato ampiamente dove si va a finire se non si è, sempre e comunque, portatori di una mentalità rivoluzionaria. Tra reazione e trasformismo si galleggia e si fa la figura di quella materia che sempre galleggia.
Facciamo invece tempesta nel mare e vedrete che oltre ad essere gratificante sarà anche pagante!

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