Se le Olimpiadi ci risvegliano
Per un momento lasci stare grafici, curve di rendimento, spread e analisi finanziarie. Ti concentri invece sulle Olimpiadi, possono piacere o non, ma rimane il fascino di una manifestazione che dura da 3.000 anni.
Al pari della domenica sportiva (quella pallonara per intenderci) t’ingegni nel cercare di capire regole, dinamiche, sillogismi di sport che effettivamente vedi ogni quattro anni. Capita poi al bar, di sentire “discernimenti” su toccate, carabina trap o fossa olimpica, quando al massimo s’intende, a malapena, di fuorigioco; ma tant’è, siamo fatti così. Un popolo di santi, poeti, navigatori….. e di tecnici sportivi.
Per quindici giorni, segui sport assurdi, regole astruse con l’obiettivo unico e finale di vedere l’atleta azzurro salire sul podio (e maledici e t’incazzi se, per un’inezia la cosa non si avvera), vedere il tricolore salire su uno dei tre pennoni – meglio se quello centrale-, ascoltare e cantare l’inno nazionale, sentire un groppo in gola che sale fino a riempirti gli occhi di lacrime. Quasi ad accompagnare quel nostro fratello sul podio che non si senta solo, perché in cuor tuo quella medaglia, un pochino, te la senti tua.
Un senso di fratellanza di appartenenza, che difficilmente altre situazioni possono darci.
Poi ti domandi se siamo noi italiani a essere degli strani esseri nazionalisti; ti rispondi guardando le stesse immagini di atleti, delle altre nazioni, che hanno le stesse reazioni, le stesse lacrime… e pensi a un tizio cinese, argentino, coreano o giamaicano, seduto davanti a un televisore ad esultare per uno sport (che neanche lui capisce bene) e una vittoria, orgoglioso per un istante di appartenere a quell’impresa.
Alla faccia di chi pensa (e tenta di metterlo in pratica) che la globalizzazione sia un omogeneizzato di culture e razze.
Fiero della mia italianità.
Buone Olimpiadi a tutti.