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A rapporto dal padrone

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Serviremo Obama contro la Siria e per ristabilre gli equilibri in Libia da cui ci ha sbattuto fuori

 

Timori di instabilità sulla Libia, soluzione politica per la Siria e il summit del G8 con in cima il libero commercio Usa-Ue tengono banco nella conversazione fra Barack Obama ed Enrico Letta sull’agenda di politica internazionale dei prossimi mesi. Il presidente americano aveva già espresso gli auguri all’esecutivo ma con la telefonata ha voluto rinnovarli al presidente del Consiglio, gettando le basi di una collaborazione che si articola a partire dall’agenda del G8 di metà giugno in Irlanda del Nord. A tale riguardo, si apprende da fonti diplomatiche a Washington, Obama ha detto di «guardare con fiducia» all’inizio formale dei negoziati con l’Ue sulla Partnership transatlantica su beni e investimenti, augurandosi «un forte contributo dell’Italia per il loro successo».
Obama guarda alla liberalizzazione degli scambi come a un volano della crescita comune. Sulla base della recente visita a Roma del Segretario di Stato, John Kerry, Obama e Letta hanno quindi discusso di Siria, registrando il forte e comune sostegno al progetto di arrivare a una soluzione politica attraverso la conferenza internazionale di Ginevra, con il pieno coinvolgimento di tutte le parti siriane e soprattutto della Russia.
Ma l’argomento che Obama più ha tenuto a sottolineare a Letta è la preoccupazione per l’instabilità della Libia. A pochi giorni dall’arrivo nella base di Sigonella di un contingente di almeno duecento marines, il presidente americano si è soffermato sull’«importanza del ruolo dell’Italia per la stabilità della Libia» con un riferimento tanto ai progetti di cooperazione bilaterale che al ruolo dell’Unione Europea nel rafforzamento dei controlli lungo i confini.
La scelta di Obama di mettere l’accento sulla Libia ha due spiegazioni convergenti. Da un lato, come spiega Jeffrey White, analista militare del «Washington Institute», «l’Amministrazione teme che le violenze in Libia degenerino a causa del rafforzamento dei gruppi salafiti in Cirenaica, dovuto all’arrivo di miliziani stranieri negli ultimi mesi», dall’altro è importante per la Casa Bianca far percepire al pubblico americano che il presidente è impegnato a impedire il ripetersi di attacchi terroristici come quello di Bengaside l’11 settembre scorso, nel quale venne ucciso l’ambasciatore Stevens in circostanze che continuano a creare imbarazzo a Washington.
«La forte collaborazione con l’Italia è un tassello della stabilizzazione della Libia» spiega una fonte dell’Amministrazione americana, sottolineando come Obama, quando definisce l’Europa «partner globale nella gestione delle crisi», faccia riferimento anche al ruolo che Roma può avere per rafforzare le istituzioni di Tripoli, considerate ancora assai deboli e vulnerabili in una nazione dove, secondo stime militari, vi sarebbero almeno cinquecento milizie armate.
I maggiori timori di Washington si concentrano in due direzioni: il tentativo dei salafiti della Cirenaica di conquistare terreno a Misurata per aprirsi la strada nella Tripolitania, e l’escalation degli attacchi dinamitardi soprattutto a Bengasi. In caso di nuovi attentati contro sedi diplomatiche o aziende straniere – non solo americane – i marines a Sigonella potrebbero essere chiamati a intervenire: è una prospettiva che spiega l’importanza per Obama di avere una forte intesa, anche personale, con Letta sulla Libia. Se con il governo Monti la Casa Bianca costruì un rapporto fondato o sulla stabilizzazione dell’Eurozona, con l’esecutivo Letta, a fianco dell’agenda economica, tornano in evidenza i temi di cooperazione strategica, a cominciare dal Nordafrica.

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