sabato 7 Settembre 2024

Afghanistan dieci anni dopo

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Gli americani preparano il terreno per dopo il rientro delle loro  truppe

I tentativi di pace e riconciliazione condotti dal presidente afghano Hamid Karzai hanno subito un durissimo colpo con l’attentato che ha  ucciso oggi a Kabul il presidente dell’Alto Consiglio per la pace Burhanuddin Rabbani e ferito gravemente il suo vice Masum Stanikzai.
L’esplosione, avvenuta nella residenza della vittima nella zona di  massima sicurezza del quartiere Wazir Akbar Khan, è stata preceduta dal  lancinante ululo delle sirene dell’ambasciata americana situata a poche decine di metri, che avvertivano di un possibile attacco terroristico. E  l’attacco c’è stato pochi secondi dopo, quando uno dei due esponenti  talebani che partecipavano ad una riunione in casa di Rabbani ha attivato l’esplosivo che aveva nascosto nel suo turbante investendo i presenti. Sei almeno le persone decedute, molte delle quali membri del Consiglio, e dieci invece i feriti.
Figura storica della resistenza anti-sovietica, ex capo di Stato, leader del Fronte Nazionale Unito, principale partito dell’opposizione afghana. Burhanuddin Rabbani, ucciso oggi in un attentato kamikaze a Kabul, ha cavalcato per 40 anni la scena politica dell’Afghanistan, dividendo alla fine lo stesso destino del suo vecchio alleato Shah Massoud, ucciso da due falsi giornalisti alla vigilia dell’11 settembre 2001.
Nell’ottobre del 2010 era stato eletto, su proposta del presidente Hamid Karzai, capo dell’Alto Consiglio per la Pace, l’organo incaricato di avviare i difficili negoziati con i Talebani. Nato nel 1940 a Faizabad, nel Nord Est del Paese, Rabbani, di etnia tagika, intraprese presto la carriera accademica e, dopo aver studiato filosofia prima a Kabul e poi nella prestigiosa università cairota di Al-Azhar, alla fine degli anni ’60 formò un movimento studentesco islamico moderato e anti-comunista, fino all’elezione, nel 1971, a leader del Jamiat-e-Islami (Società islamica), il più antico partito musulmano afghano. Rabbani fu presto costretto all’esilio dal governo centrale comunista ma, con l’invasione sovietica dell’Afghanistan, nel 1979, il suo partito fu tra i più influenti gruppi di mujaheddin che guidarono la lotta armata contro l’occupazione dell’Urss.
Nel 1992, con la caduta dell’ultimo regime pro-sovietico, Rabbani tornò  a Kabul e fu eletto presidente ma il suo potere fu sempre ostacolato dai signori della guerra che in quegli anni misero a ferro e fuoco la capitale. Fu infine deposto nel 1996 dai Talebani e diventò uno dei leader dell’Alleanza del Nord, la principale organizzazione politica e militare afghana anti-talebana. Nel novembre del 2001, in seguito all’intervento militare degli Usa, tornò a Kabul da presidente ma il mese successivo accettò di rimettere il suo incarico a favore di Karzai. Che, l’anno scorso, lo aveva proposto alla testa del Consiglio per la Pace, la cui composizione ha sollevato non poche perplessità
vista la presenza di diversi guerriglieri anti-Talebani. Ora, con il suo omicidio, la via del negoziato sarà ancora più impervia.

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